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Olimpiadi: maglia a nera a Fila, Reebok dà i numeri
Responsabilità sociale d'impresa
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A chiusura di Olimpiade Torino 2006 parte la classifica per i marchi dello sport. La maglia nera va a Fila che ha rifiutato ostinatamente di confrontarsi con la campagna 'Play Fair at the Olympics', e solo all'ultimo, per paura di un'eccessiva esposizione pubblica, ha accettato un incontro interlocutorio; e continua a rifiutare di assumersi ogni responsabilità per i licenziamenti di massa che hanno colpito i dipendenti della PT Tae Hwa, la fabbrica di un suo fornitore indonesiano. Ma nello speciale medagliere che il Sole 24 Ore dedica agli sponsor olimpici, l'impresa italo-statunitense occupa le prime posizioni per il numero di atleti vincitori di gare che veste, insieme alla ditta torinese Anzi Besson, che fornisce l'abbigliamento da gara alle nazionali di sci alpino di Austria, Russia, Bulgaria e Grecia, dopo averlo testato in una speciale galleria del vento. "Più cervello e meno muscoli", è la filosofia del gruppo Tecnica, impresa produttrice di scarponi che hanno calcato il podio, "Poco importa se la plastica si inietta nei paesi a più basso costo - dice il direttore marketing - qui [a Montebelluna] è concentrato tutto quanto può dare valore". Più chiaro di così.
Infine c'è Carrera, che fa capo al gruppo veneto Safilo, e fornisce caschi, maschere e occhiali per lo sci, che fa produrre in Italia e in Slovenia. Stiamo parlando di imprese con giri d'affari milionari in un settore che non conosce crisi. Al loro confronto impallidisce il carico di 2 mila berretti contraffatti con il marchio "Torino 2006", provenienti dalla Cina, per un valore di 20 mila euro, bloccati all'aeroporto di Malpensa a metà febbraio. La vendita dei biglietti per i giochi è stata inferiore al previsto e gli organizzatori per allettare le scolaresche successivamente li hanno offerti a prezzi ridotti, ma accompagnati da un foglio carico di proibizioni. Un paragrafo, dedicato all'abbigliamento, ammonisce: "Non è consentito l'utilizzo di abbigliamento recante loghi e marchi di sponsor non Olimpici, come indicato nella guida dello spettatore che ogni Scuola riceverà insieme ai biglietti". Chi trasgrediva andava incontro a severe sanzioni: "Il mancato rispetto delle regole comporta l'espulsione dal luogo di gara senza rimborso del biglietto". "Devo vestire mio figlio con i marchi degli sponsor? - si chiede un papà - Ma se non so neanche quali sono!".
In vista delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, la Clean Clothes Campaign aveva pubblicato nel suo sito una serie di aggiornamenti sui progressi compiuti nel dialogo con i marchi, la Federazione Mondiale dei produttori di Articoli Sportivi (WFSGI) e il mondo olimpico, sulla base di alcune proposte specifiche avanzate dalla Play Fair Alliance per arrivare in tempi ragionevoli alla firma di un accordo di settore valido a livello internazionale. Molto resta da fare nei due anni che ci separano dalle Olimpiadi di Pechino, in modo particolare su due questioni cruciali che non hanno ancora trovato risposta né da parte delle imprese né da parte del mondo sportivo: il diritto dei lavoratori a percepire retribuzioni in linea con il costo della vita, il rispetto della libertà di associazione e di contrattazione collettiva, oltre all'adozione di codici di condotta completi e di meccanismi di verifica affidabili. La WFSGI ha tenuto finora un atteggiamento dilatorio, mentre il Comitato Olimpico Internazionale (CIO), dopo l'incontro dell'ottobre 2005 con le organizzazioni sindacali che aderiscono alla campagna, si è chiuso nuovamente nel silenzio.
Intanto si apprende che dopo Nike, Levi's, Puma e Timberland anche Reebok ha reso pubblica la lista dei fornitori. Le fabbriche censite sono 759 in 53 paesi. Accanto a noti paesi dell'estremo oriente, spiccano curiosamente i 72 fornitori statunitensi e i 23 canadesi. Anche in Europa Reebok conta un certo numero di terzisti: 21 in Portogallo, 18 in Spagna, 6 in Grecia, 2 in Italia (uno in Lombardia, l'altro in Piemonte), 2 in Germania, 2 in Bulgaria e qualche scampolo in altri paesi. Si prosegue fino alla nuova frontiera, con 6 fornitori in Russia e 2 in Turkmenistan. Intanto un gruppo di aziende (American Express, Armani, Gap, Nike-Converse) hanno lanciato il marchio "Red" per i prodotti la cui vendita servirà in parte a finanziare il Global Fund, il fondo dell'ONU per la lotta contro l'aids, la malaria e la tubercolosi in Africa. Ma due milioni di persone muoiono perché non possono pagare i prezzi esorbitanti dei farmaci anti-aids prodotti da poche multinazionali di Europa e Stati Uniti. E per finire, l'operazione del marchio Red è tristemente patrocinata da Bono degli U2. E come si usa dire, la coerenza finisce sotto le scarpe. [AT]
Fonte: Campagna Abiti Puliti