Nigeria: nuovi attacchi e Shell paga per 'gas flaring'

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Nella regione del Delta del Niger nuovi attacchi sono stati condotti da sospetti militanti contro postazioni petrolifere e impianti di gas, dove lo scorso 18 febbraio sono stati sequestrati 9 dipendenti di multinazionali straniere. Secondo la stampa nigeriana sono state prese di mira le piattaforme della Shell, nella zona di Warri, e una condotta del gas dell'italiana Agip, nella zona di Burutu, entrambe nello Stato meridionale del Delta, la 'cassaforte' del greggio nigeriano. Stando alle stesse fonti, l'attacco contro la piattaforma avrebbe costretto la società a ritirare "centinaia" di dipendenti e limitare la produzione pari a circa 445.000 barili al giorno.

Da mesi i militanti del sedicente 'Movimento per l'emancipazione del Delta' hanno rivendicato le aggressioni contro gli impianti, chiedendo una maggiore partecipazione nello sfruttamento delle risorse naturali della regione a favore della comunità Ijaw. Intanto, secondo il quotidiano 'Vanguard', i capi e gli anziani Ijaw hanno avvertito il governo che l'eventuale intervento di truppe anti-terrorismo statunitensi aggraverebbe le condizioni di sicurezza in tutta l'area e potrebbe provocare ulteriori scontri. Nei giorni scorsi si era diffusa la notizia che drappelli di squadre speciali Usa fossero già arrivati nel Paese per salvare i 9 occidentali sequestrati, tra cui tre americani, mostrati ai giornalisti dai militanti. Le autorità di Abuja hanno però negato il coinvolgimento di forze statunitensi, anche se l'ambasciata di Washington in Nigeria - che non si è espressa sulla presenza di truppe nel territorio - ha confermato un'offerta di collaborazione sul piano dell'intelligence.

Di grande valore è la condanna che l'Alta Corte Federale della Nigeria ha dato alla Shell Petroleum Development Corp. (SPDC), una joint-venture di cui Royal Dutch Shell detiene il 30%. La sentenza impone un risarcimento di 1,5 miliardi di dollari alla comunità aborigena Ijawa, che vive nella regione del Delta del Niger, per l'impatto nocivo conseguente alle perdite di petrolio nel loro territorio. La sentenza ha reso esecutiva l'ingiunzione di pagamento emessa, con un ordine del giorno, dal Senato nigeriano il 24 agosto 2004, che faceva riferimento a "infortuni sanitari, difficoltà economiche, malattie, anche gravi, di vario tipo e decessi che avrebbero potuto essere evitati". Il gas flaring consiste nel bruciare a cielo aperto gas naturale collegato all'estrazione del greggio, ed è da anni causa di inquinamento e scempio ambientale. Il gas flaring causa rumorosissime esplosioni che si susseguono per tutta la giornata, senza soluzione di continuità, spesso anche a poca distanza dai villaggi. Uno "strumento" adottato a causa della mancanza di infrastrutture adeguate in loco per lo sfruttamento petrolifero, e che "va contro il diritto alla vita, alla salute e alla dignità".

Per questo le comunità locali hanno avviato il ricorso contro la joint venture composta dalla Nigerian National Petroleum Corporation e altre cinque compagnie straniere (Agip, shell, ChevronTexaco, Exxonmobil e TotalFinaElf). La Shell sta ignorando il divieto, imposto lo scorso novembre da un giudice dell'Alta Corte federale nigeriana, di far ricorso al gas flaring. E' stato calcolato che il gas flaring nella regione del Delta del Niger arriva a produrre ben 70 milioni di tonnellate di Co2 all'anno, ovvero più delle emissioni di Norvegia, Portogallo e Svezia messe insieme. Delle malefatte della Shell nel Delta del Niger se ne è parlato anche per la tragica uccisione dieci anni fa da parte dell'allora dittatura nigeriana del poeta e attivista Ken Saro Wiwa. Saro Wiwa riuscì addirittura a far scendere in strada oltre 300.000 persone che dichiararono la sussidiaria della Shell in Nigeria persona non grata e cacciarono in maniera pacifica il personale impiegato per l'estrazione del greggio dalla multinazionale. Un vero affronto per le elite politiche nigeriane, che fin dal boom del petrolio dell'inizio degli anni '70 avevano considerato i giacimenti del Delta del Niger come una sorta di proprietà privata da sfruttare a proprio piacimento. La Shell e le altre compagnie petrolifere, infatti, furono subito incoraggiate ad "occupare" il territorio, al fine di portare avanti le loro attività estrattive, senza peraltro pagare le dovute compensazioni ai legittimi proprietari o tenere in debita considerazione i possibili rischi ambientali. [AT]

Altre fonti: Responsabilità sociale delle imprese News

Approfondimenti: Boycott Shell, Price of Oil

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