Equador: al tavolo dopo lo sciopero sul petrolio

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Le organizzazioni dei lavoratori e degli abitanti dei villaggi delle province petrolifere di Orellana e Sucumb㭀os hanno sospeso lo sciopero proclamato lunedì scorso e hanno accettato l'invito rivolto loro dal governo presieduto da Alfredo Palacio di recarsi nella capitale per colloqui con le autorità. A Quito prenderà forma un tavolo al quale siederanno l'esecutivo e i rappresentanti dei lavoratori del settore petrolifero, sostenuti dalle organizzazioni per i diritti civili e umani e dalla Chiesa cattolica. Allo sciopero e alla mobilitazione generale hanno aderito la Confederazione indigena dell'Ecuador (Conaie), i sindacati, Ong e associazioni ecologiste impegnate nella difesa dei diritti umani.

I lavoratori, che erano arrivati a occupare un centinaio di pozzi prima di essere brutalmente affrontati da circa 3.500 militari e 1.500 effettivi della Policìa Nacional in assetto antisommossa, chiedono adeguamenti salariali e lo stanziamento di fondi per le politiche sociali nei loro villaggi, in particolare per educazione e sanità. Gli scontri si sono svolti sulle piazze e le strade nella città di Coca, a Lago Agrio e nei pressi delle stazioni petrolifere. Decine di persone sono state ferite dai lacrimogeni e dai proiettili di gomma sparati ad altezza d'uomo. 65 persone sono state arrestate. Malgrado la repressione violenta i movimenti hanno mantenuto le loro posizioni e il controllo delle stazioni di pompaggio.

Le forze sociali ecuadoriane chiedono al Governo di Alfredo Palacio la fine dello Stato di Emergenza illegalmente istituito, che sia invalidato il contratto con la Oxy e che siano ridiscussi i contratti con le altre multinazionali petrolifere. La multinazionale statunitense ha scatenato l'indignazione generale quando ha tentato di vendere alla multinazionale canadese Encana il 40 per cento del Blocco petrolifero 15 di proprietà dello Stato. Inoltre la Oxy attraverso il contratto truffa (considerato già illegale da una sentenza del Procurador del Estado Josè Maria Borja) saccheggia lo Stato ecuadoriano di 5 milioni di dollari al giorno. Per ogni cinque barili che la multinazionale esporta uno solo rimane allo Stato. In venti anni di attività la multinazionale statunitense avrebbe quindi accumulato un debito con il popolo ecuadoriano di 160 mila milioni di dollari, pari esattamente al debito estero del Paese. Intanto il pompaggio del petrolio è ricominciato, ma non a pieno ritmo.

A metà luglio la Confederazione delle Nazionalità Indigene dell'Ecuador (Conaie) aveva annunciato di voler impedire lo sfruttamento petrolifero nel Parco Nazionale Yasunì (dichiarata area protetta e Riserva della Biosfera). Una decisione del governo che viola la Costituzione e le convenzioni internazionali a favore degli interessi delle multinazionali PETROBRAS e REPSOL-YPF. Più di venti comunità Huaorani che raggruppano più di 2.300 sopravvissuti allo sfruttamento petrolifero nella provincia di Orellana e Sucumbios, hanno deciso di non permettere più lo sfruttamento petrolifero nei loro territori, di non considerare validi i contratti e di non permettere ulteriori violazioni della Costituzione. Il Parco Nazionale Yasunì è la maggiore riserva di biodiversità del Paese, un'area occupata ancestralmente dai popoli come gli Huaoranis, che considerano questi territori la loro ultima possibilità di sopravvivenza. La Conaie chiede al Governo ecuadoriano, il rispetto della Costituzione e la revisione di tutti i contratti petroliferi, modificando gli aspetti lesivi degli interessi nazionali e dei diritti dei popoli, come nel caso della multinazionale Occidental, Texaco-Chevron, Clipper (Arajuno), Petrobras, Repsol YPF. [AT]

Altra fonte: Associazione A Sud

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