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Ctm Altromercato: no alle multinazionali nei registri del commercio equo
Responsabilità sociale d'impresa
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Da oltre un anno è in corso una discussione molto importante per il futuro del commercio equo: l'introduzione delle Transnazionali (TNC) nella certificazione Fair Trade attuata da FLO (Fairtrade Labelling Organisation, casa madre europea degli enti di certificazione nazionali quali Transfair e Max Havelaar). Il 20 settembre 2005 è stato organizzato da FLO un seminario di confronto per avvicinarsi alla decisione finale. Ciò mentre a livello nazionale varie certificazioni di transnazionali sono già fatte o in corso: Mc Donalds in Svizzera, Dole in Francia, Chiquita in Usa, Nestlè in Inghilterra. Tutto ciò ha causato molte reazioni nel commercio equo mondiale e Ctm altromercato è stata da subito in prima fila nel manifestare contrarietà e promuovere iniziative contrarie, culminate nell'aver proposto la mozione votata all'unanimità dai partecipanti alla Conferenza di Ifat (associazione del commercio equo mondiale) a Quito (Ecuador) a inizio maggio 2005. Nell'articolo seguono le posizioni sintetiche di Ctm altromercato in merito, portate come contributo al seminario di FLO del 20 settembre.
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Ctm altromercato ritiene che l'eventuale inclusione delle Transnazionali (TNC) nel Fair Trade non possa essere considerata come una questione tecnica, limitata a verificare l'adeguatezza di standard e criteri, in quanto riguarda sia le premesse che gli obiettivi del Fair Trade. Chiediamo quindi che Flo non decida unilateralmente su questa importante questione.
Alla luce degli attuali documenti e discussione, Ctm altromercato esprime dissenso sull'entrata delle TNC nel Fair Trade, e ritiene che tale operazione non deve essere facilitata solo in funzione dei potenziali fatturati aggiuntivi. Le ragioni connesse all'aumento di accesso al mercato di prodotti/produttori Fair Trade, e la possibilità di relazionarsi ad importanti attori del commercio internazionale non ci sembrano motivi validi in assoluto, e comportano gravi rischi per l'intero movimento. Rimane centrale per il Fair Trade l'ampliare il mercato principalmente per i piccoli produttori: tale prospettiva non ha esaurito le sue potenzialità.
Il Commercio Equo e Solidale deve certamente interessarsi ad un'evoluzione positiva del ruolo e dei comportamenti delle imprese transnazionali, ed
all'espansione nel mercato di prodotti realizzati in condizioni eque: ma non ad ogni costo, ed avendo una chiara strategia per il futuro. Le TNC hanno il loro
naturale spazio di sviluppo positivo nella Responsabilità Sociale di Impresa (RSI), responsabilizzandosi rispetto ai criteri della RSI nell'insieme delle proprie
attività (e non solo in alcune produzioni/piantagioni). A partire dal rispettare le convenzioni internazionali dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO),
pagando salari adeguati a livelli di vita degni, rinunciando alla massimizzazione dei profitti utilizzando le opportunità del mercato globale. Nessuna TNC deve
entrare nel commercio equo senza aver prima dimostrato di aver raggiunto in modo stabile e verificato tale livello, o laddove vi siano cause in corso per violazione dei diritti dei lavoratori o dell'ambiente. Ma laddove ciò accadesse, i lavoratori di tali imprese non potrebbero essere considerati come "svantaggiati o marginalizzati", non risultando quindi il principale riferimento del Fair Trade. Occorre quindi tenere in considerazione il riferimento centrale del Commercio Equo: i piccoli produttori.
Nessuna TNC deve entrare nel Fair Trade senza essersi compromessa nel lavorare/acquistare una parte significativa della produzione complessiva da piccoli produttori già attivi nel Fair Trade, e senza aver predisposto un piano pluriennale di progressivo incremento di vendite Fair Trade.
Per quanto si registrano dichiarazioni di intenti e dinamiche positive, non riteniamo di essere alla vigilia di modifiche di tale portata nelle pratiche delle
TNC. Senza di ciò, il rispetto formale di una TNC dei criteri operativi del Fair Trade solo in una piccola parte della sua attività, non comporterebbe nel mercato globale modifiche tali da giustificare l'apertura alle TNC della certificazione Fair Trade. Qualora si andasse comunque in tale direzione, i rischi sono evidenti:
à Rispettando criteri Fair Trade solo per una piccola percentuale della loro attività, le TNC possono facilmente promuoversi come "eque", portando gravi
difficoltà di identità e riconoscibilità a tutto il movimento Fair Trade, e difficoltà politiche ed economiche alle organizzazioni Fair Trade;
à Le TNC sono coinvolte nella produzione dello squilibrio Nord/Sud, nella diffusione di pratiche di dumping sociale, nel rifiuto del concetto e della pratica
di "prezzo equo", nel condizionamento delle istituzioni pubbliche; l'associare il loro marchio al Fair Trade comporta perdita di credibilità e confusione del
messaggio Fair Trade e delle sue "relazioni esterne" che non può essere compensato dall'allargamento della quota di mercato "equo";
à C'è una tendenza in atto nelle TNC di acquisire il controllo di una grande quantità di produzioni e soprattutto delle filiere produttive; oltre un certo
livello esse potrebbero quindi acquisire un peso economico tale da incidere sugli equilibri interni al commercio equo e controllare le politiche/criteri di
certificazione;
à Includere le TNC nella certificazione equa e solidale potrebbe promuovere anche dentro il commercio equo un contesto economico nel quale le imprese più piccole sono acquisite da quelle più grandi, e - cosa grave - i piccoli produttori potrebbero essere respinti o sfavoriti.
Il movimento del commercio equo e solidale non consiste solo nel "produrre sviluppo" per i soggetti con cui viene in contatto. E l'obiettivo di
empowerement (rafforzare e rendere consapevoli) del Fair Trade va oltre il pagamento di prezzi equi. E' nostra responsabilità contribuire alla modifica delle pratiche economiche e commerciali che producono sottosviluppo e sfruttamento. L'entrata delle TNC nel Fair Trade senza riuscire ad incidere sul loro contributo complessivo all'attuale sistema economico allontanerebbe tale obiettivo, portando benefici ad alcuni produttori/lavoratori ma danneggiando l'autorevolezza e la pratica dell'intero movimento, e le organizzazioni Fair Trade già attive: siamo convinti che la diffusione dei valori e dei criteri Fair Trade dipenda prima di tutto dalla sostenibilità ed autorevolezza di organizzazioni in grado di promuovere valori Fair Trade chiari e riconoscibili come tali. Qualunque scelta che vada in direzione contraria, pur di fronte a vantaggi nel breve periodo, non opera per l'efficacia del Fair Trade nel lungo periodo.
Il Consiglio di Amministrazione del Consorzio Ctm altromercato