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Brasile: acqua, si conclude lo sciopero della fame
Responsabilità sociale d'impresa
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Frei Cappio, ‘dom' Flavio, monsignor Luiz Flavio Cappio,vescovo di Barra nello stato di Bahia, monaco francescano, figlio di emigrati di Biella in Brasile negli anni '30, ha concluso dopo 11 giorni il suo sciopero della fame, cominciato il 26 settembre scorso per protestare contro un progetto che avrebbe sottratto altra acqua al grande Rio S㣀o Francisco, già impoverito e degradato da dighe e invasi per centrali idroelettriche, inquinamento e altre cause di impoverimento accumulatesi negli anni, anzi nei secoli. Monsignor Cappio aveva detto che si sarebbe lasciato anche morire se il suo appello non fosse stato ascoltato. Pur non incidendo sul crescente sostegno che la sua protesta stava facendo lievitare, questa presa di posizione estrema aveva suscitato perplessità e qualche critica. E' giusto giungere a tanto, mettere in gioco la propria vita, per un fiume o per qualsiasi altra causa?
Fino al 4 ottobre 1501, quando alla sua foce atlantica giunsero i portoghesi, il S㣀o Francisco si chiamava Oparà che in lingua ‘tupi' vuol dire il fiume-mare, per quanto era grande e imponente; una leggenda indigena raccontava che il fiume era nato dalle cascate di lacrime di Iati, un' india che aveva pianto fino alla fine dei suoi giorni la morte in guerra del suo promesso sposo. Profondamente radicato nell'identità indigena, l'Oparà/ S㣀o Francisco è sempre stato nei secoli fonte di pesca e di sostentamento per le popolazioni che vivono lungo le sue sponde e cardine di un'identità culturale indigena più robusta di qualsiasi diga idroelettrica. Un tempo, ci potevano navigare battelli a pala per chilometri e chilometri e i pesci abbondavano per chiunque volesse sfamarsi; oggi, in alcuni tratti può essere facilmente guadato a piedi e la pesca, quando è possibile, è sempre più misera e improbabile, almeno nei tratti più "addomesticati".
Eppure , il nord-est del Brasile soffre di endemica siccità e l'acqua di quel fiume, purché non sfruttata da multinazionali o comunque da speculatori, potrebbe costituire un aiuto importante per l'irrigazione e lo sviluppo di un'agricoltura oculata e sostenibile. A conclusione di un suo studio, il dottor Joao Paulo M. de Aguilar, ha scritto: "Riteniamo che l'utilizzo delle acque del Rio S㣀o Francisco per alcune zone del semi-arido nordest non possa essere discussa in termini manichei, pro o contro e deve essere oggetto di un dibattito democratico e coinvolgente in cui vengano messe a fuoco le difficili e delicate questioni sottostanti le opere di ingegneria" Sono parole molto accorte, forse non manichee quelle del dottor de Aguilar ma non è difficile leggere tra le righe che Iati rischia di non avere più lacrime da piangere. Né in Brasile né altrove. Monsignor Cappio - che ieri ha ricevuto anche un messaggio da papa Benedetto XVI e ha già ottenuto di essere ricevuto dal presidente Luiz Inacio Lula da Silva per discutere prima di tutto di un progetto di rivitalizzazione del fiume - con la forza della sua protesta ha posto all'attenzione del mondo un problema molto, molto più grande delle condizioni attuali e future di un grande fiume brasiliano.
E' appena di ieri la notizia che, a causa della gestione delle risorse idriche, Argentina e Francia hanno rischiato un incidente diplomatico. Il 22 settembre scorso, il parlamento argentino ha votato quasi all'unanimità la risoluzione del contratto con "Aguas argentinas", filiale del potente gruppo francese Suez che per tre anni, attraverso trattative dai toni spesso sgradevoli, ha tentato di strappare contratti sempre più onerosi (+ 20% nel 2006) per la distribuzione dell'acqua a circa 10 milioni di persone nell'area della grande Buenos Aires; essendo fallito il tentativo di Suez, l'ambasciatore francese , che aveva spesso sostenuto le trattative in prima fila, ha ritenuto opportuno accusare in pubblico il presidente Nestor Kirchner di comportamenti "populisti" e "sessantottini". Rimostranze ufficiali per via diplomatica sono state inoltrate a Parigi e l'ambasciatore ha chiesto scusa ma, salvo sviluppi sorprendenti, la Suez lascerà il mercato argentino della distribuzione d'acqua in maniera definitiva entro febbraio.
Sotto i ponti di questa vicenda e di quella di monsignor Cappio scorrono , a ben guardare, le stesse lacrime amare di Iati. Quelle della guerra dell'acqua, forse imminente forse già in atto in America Latina anche se nel resto del mondo spesso si fa finta di non accorgersene. Lo stesso presidente Lula, stretto come è tra la crisi politica in atto da giugno a causa della diffusa corruzione della classe politica brasiliana, le pressioni dei latifondisti e delle grandi "lobbies" internazionali e le improcrastinabili richieste degli strati più deboli della popolazione, deve includere, se non lo ha già fatto, il problema delle risorse idriche tra le proprietà del suo governo. Quella dell'acqua è una guerra che potrebbe essere più violenta e devastante della guerra per il petrolio. "In fondo senza petrolio si riesce a vivere; senz'acqua no" mi diceva Alex Zanotelli qualche giorno fa, a San Giovanni Rotondo (chiedendo per la sua sete semplice acqua di rubinetto), a margine del convegno "L'urlo contro la guerra: non c'è pace senza giustizia". Una pace e una giustizia che non possono, non devono annegare nelle lacrime di Iati, come "frei Cappio" è forse riuscito a far intendere almeno per qualche istante a qualcuno, proprio con la forza della sua protesta, sulla sponda di un corso d'acqua lontano dal nord del mondo ma così drammaticamente vicino al futuro di tutta l'umanità.
di Pietro Mariano Benni