Bolivia: Mesa cede e la multinazionale scappa

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Dopo una settimana di proteste a Santa Cruz contro l'aumento del prezzo dei carburanti, il presidente boliviano Carlos Mesa ha disposto la riduzione del prezzo del diesel del 6%, senza però ottenere una tregua da parte dei manifestanti. Esponenti politici del Movimento al socialismo (Mas) del leader 'cocalero' Evo Morales e sindacalisti della Cob hanno definito la misura 'un inutile cerotto', mentre Carlos Dabdoub, portavoce ufficiale del Comitato Pro Santa Cruz, ha detto che il provvedimento non serve e che "l'unica soluzione è l'annullamento generale del decreto" di aumento del prezzo del carburante. Nel conflitto è intervenuta anche la chiesa boliviana, ed il segretario generale della Conferenza episcopale e vescovo di El Alto, monsignor Jesus Juarez, ha rivolto un appello al governo ad adottare misure urgenti per alleviare gli effetti economici degli aumenti del prezzo del carburante.

Una risposta al decreto di Mesa, varato il 30 dicembre scorso che ha aumentato dal 10 al 23% i prezzi di benzina e diesel, è arrivata anche da oltre 200 attivisti che sono entrati in sciopero della fame e da diversi studenti che hanno occupato edifici pubblici a Santa Cruz, mentre esponenti delle forze di sicurezza hanno circondato le installazioni petrolifere più importanti della zona. Con un gesto simbolico, esponenti del comitato civico locale hanno consegnato oltre 500.000 firme ad alcuni parlamentari per chiedere l'autonomia della regione. Ruben Costas, capo di uno dei gruppi civici, ha invitato la popolazione a un incontro in municipio, previsto per il 28 gennaio, in cui "verrà presa in esame la creazione del primo governo autonomo della provincia di Santa Cruz".Il presidente boliviano Carlos Mesa ha proposto il dialogo ai leader dei manifestanti, a patto che sospendano le azioni di protesta e ritirino le richieste di autonomia.

Intanto lo sciopero generale e indefinito e il blocco delle vie di comunicazione in El Alto e a La Paz, in soli tre giorni, ha fatto sì che il governo, con un decreto supremo, rescindesse il contratto con Aguas del Illimani dell'impresa francese Lyonaisse des Eaux. L'impresa ha assicurato di aver investito 63 milioni di dollari ma il governo si è visto costretto a delegare la Superintendencia de Saneamiento Básico a terminare il contratto di concessione senza indennizzo; una volta di più, le migliaia di alte㱀os y alte㱀as che si sono mobilitati dimostrano che solo con la pressione sociale si possono conseguire giuste richieste. Di fronte l'imminente fuoriuscita della multinazionale Aguas del Illimani dalla città di El Alto per una serie di irregolarità contrattuali, c'è la possibilità giuridica di rivedere tutti i contratti delle imprese capitalizzate, inclusi i contratti con le imprese petrolifere. In questa settimana di tensione sociale, soprattutto a El Alto e Santa Cruz, con l'appoggio degli altri dipartimenti, il governo ha derogato il decreto che concedeva alle imprese petrolifere di registrare le proprietà in diritti reali e a rescindere il contratto con la transnazionale dell'acqua.

Il MAS inoltre chiede che l'attuale governo approvi la Ley de Hidrocarburos, convochi un'Assemblea Costituente Popolare e inizi un processo sulle responsabilità dell'ex presidente Sanchez de Lozada e i suoi ministri. Lo scorso 18 luglio si è tenuto un referendum sugli idrocarburi voluto dal presidente boliviano Carlos Mesa e sostenuto dalla Banca Mondiale, il BID (banca interamericana per lo sviluppo) e dal vicepresidente degli Stati Uniti, Dick Cheney, che per bocca del suo consigliere ha fatto sapere che qualora il referéndum fosse stato bloccato il paese si sarebbe "suiciato".

Tra i principali sponsor la Total, che ha sborsato 56.000 dollari per pagare gli esperti che hanno confezionato le domande in modo da tutelare, a prescindere dall'esito del voto, le attivita' delle multinazionali da decenni inpegnate a spremere il paese, lasciando nella miseria due terzi dei boliviani che ancora soffrono la fame. Anche la Repsol ha avuto un ruolo centrale, essendo proprietaria di un terzo di tutte le riserve di gas del paese. Ancor prima che si votasse il 18 di luglio, la Repsol ha visto apprezzate le sue azioni di un 11% dalla Banca di Investimenti svizzera UBS, seconda la quale il referéndum avrebbe sicuramente rafforzato la posizione dominante della multinazionale spagnola. Lo stesso dicasi per i vantaggi ottenuti da Petrobras, Shell, Enron e Canadian che, secondo gli analisti finanziari, avrebbero risolto definitivamente i problemi legati alle esportazioni, viste le garanzie date dal governo boliviano sul rispetto dei contratti gia' sottoscritti. [AT]

Altre fonti: Ticino News, Asud

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