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A Srebrenica i caschi blu olandesi “sbagliarono”
Responsabilità sociale d'impresa
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A 19 anni dai tragici fatti di Srebrenica, il Tribunale Internazionale di Giustizia dell’Aja ha individuato una corresponsabilità dell’eccidio nel mancato intervento dei 600 caschi blu olandesi dell’ONU stanziati nell’enclave bosniaca a difesa della popolazione musulmana. La condanna emessa lo scorso 16 luglio in realtà non tocca direttamente il cosiddetto “dutchbat”, ossia il battaglione olandese guidato dal tenente colonnello Thomas Karremans, ma è rivolta allo Stato olandese. L’immunità di cui gode l’ONU (e i suoi caschi blu), che mettono al riparo l’organizzazione multilaterale dalle accuse di interferenza negli affari interni di uno Stato, un elemento fondamentale per il dispiegamento delle sue operazioni di peacekeeping in tutto il mondo, la proteggono dalla possibilità di intentare contro di essa cause legali.
L’Olanda è stata ritenuta civilmente responsabile “per le perdite degli uomini deportati dai serbi bosniaci dal compound olandese di Potocari nel pomeriggio del 13 luglio 1995”, non dell’intero massacro genocidario dunque ma “solo”, si fa per dire, dei 300 bosniaci che si erano rifugiati nella base ONU e a cui non è stato permesso di restare. “Collaborando nella deportazione di questi uomini, il Dutchbat ha agito contro la legge” ha spiegato il giudice Larissa Elwin, poiché “possiamo dire con ragionevole certezza che se il battaglione olandese avesse permesso agli uomini di restare, questi si sarebbero salvati”. Tuttavia lo Stato olandese non è stato giudicato responsabile complessivamente della strage perché, anche dinanzi a una immediata denuncia da parte dei caschi blu dei crimini di guerra che si stavano compiendo sul territorio (cosa che non avvenne), ciò non avrebbe potuto condurre a un “intervento militare diretto dell’ONU”, atto a impedire il genocidio. Il fatto che in quei giorni i caccia della NATO sorvolassero l’area e che quindi, su indicazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si sarebbe potuto minacciare un attacco dal cielo scongiurando il massacro, non è stato preso in esame dalla Corte.
La condanna del Tribunale dell’Aja giunge dopo che da anni la comunità internazionale aveva già sentenziato in tal senso per quello che è considerato il più terribile massacro in territorio europeo dalla seconda guerra mondiale. 8.372 morti, tutti musulmani, uccisi dalle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Radko Mladic in quel luglio del 1995. 6.066 le vittime identificate. Restano disperse ancora 2.306 persone nonostante l’incessante strazio del recupero e dell’identificazione delle ossa dalle fosse comuni.
Tutti uomini, di tutte le età. Le donne furono allora salvate, o meglio, in quello che oggi è stato riconosciuto come un vero e proprio progetto genocidario, le donne vennero allora separate e deportate. Risparmiate dall’eccidio ma non dagli stupri e da violenze di ogni genere, sono state proprio loro a chiedere giustizia per i padri, i mariti e i figli trucidati, e l’accertamento di tutte le responsabilità dell’accaduto. Non solo quelle di chi comandò e diresse il massacro, già sotto processo insieme agli esecutori materiale degli ordini di Mladic, ritenuti a tutti gli effetti imputabili delle proprie azioni senza alcuna possibilità di appellarsi all’obbligo di obbedienza agli ordini dei superiori. Ma si cercano anche le responsabilità di chi non intervenne per porre fine alla mattanza.
In una guerra civile spaventosa che aveva già richiamato i riflettori dell’Europa se non del mondo intero, le donne di Srebrenica e i pochi uomini sopravvissuti reclamano da tempo le responsabilità per il mancato intervento di quei caschi blu olandesi dell’ONU dell’operazione UNPROFOR (United Nations Protection Force) stanziati su quel territorio, definito “safe area” (area protetta), proprio a protezione dei bosniaci musulmani.
Lo scorso aprile una Corte d’appello di Amsterdam aveva già accolto le richieste di risarcimento per tre bosniaci uccisi una volta cacciati dal compound dei caschi blu olandesi: un indennizzo di 20.000 euro ciascuno che è apparso quasi un insulto. L’Olanda è però il primo Stato riconosciuto responsabile delle azioni compiute dai propri soldati in missione su mandato ONU. L’accoglimento solo parziale del ricorso presentato dalle Madri di Srebrenica, l’associazione di familiari delle vittime del massacro, alla Corte Internazionale di Giustizia ha suscitato emozione ma anche rabbia. La portavoce, Munira Subasic, ha commentato tra le lacrime “Ma come si fa a spiegare a una madre che gli olandesi sono responsabili per la morte di un figlio che si trovava nel compound e non per quelli che si trovavano fuori? Nel compound potevano starci tutti”. Parole che non concordano con l’interpretazione della Corte a cui è apparso “ragionevole” che i caschi blu non abbiano lasciato entrare nella loro base più di 5mila persone, perché non vi sarebbero state condizioni sanitarie sufficienti. Un’affermazione che di certo stride con la condizione emergenziale in cui la popolazione di Srebrenica si trovava.
Per quanto una risposta giudiziaria difficilmente potrà lenire il dolore dei parenti delle vittime dell’eccidio, la mancanza di un pieno accoglimento del ricorso segna una frattura ancora più decisa tra un’ONU che appare chiusa a difesa della propria struttura e una comunità internazionale che già da anni ha emesso la propria sentenza sulla vicenda, nella convinzione che i caschi blu presenti a Srebrenica avrebbero potuto (anzi dovuto in virtù del loro ruolo) tentare di salvare non solo le persone che si erano rifugiate nel loro compound ma anche quelle che erano state rastrellate fuori dall’area. Un giudizio che probabilmente si è formato anche alla luce dello scalpore suscitato da alcuni filmati girati dagli stessi soldati olandesi che brindavano col generale Mladic prima e dopo l’eccidio, o anche dalla cerimonia di decorazione voluta dal Ministero della Difesa olandese qualche anno dopo i fatti per riconoscere i meriti dei soldati e ricompensarli per le ingiuste critiche ricevute. Ora la condanna del Tribunale dell’Aja chiude una delle pagine più buie della storia recente almeno sotto il profilo del fallimento degli strumenti messi in atto a livello globale per farvi fronte. Che sia il punto di partenza per un ripensamento complessivo del sistema di intervento nei casi di minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali?