Le Big Oil contro il mondo: come hanno diffuso il negazionismo e ritardato l’azione climatica

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Immagine: Desmog.com

L’inchiesta televisiva “Big Oil v the World” trasmessa in tre episodi dalla BBC, si basa su migliaia di documenti scoperti di recente e racconta come l’industria petrolifera ha organizzato una costosa e prolungata campagna propagandistica e disinformante  per seminare dubbi sulla scienza del cambiamento climatico. Un complotto mediatico del quale stiamo già pagando e vivendo oggi le conseguenza.

Come spiega efficacemente Jane McMullen su BBC News, «Trent’anni fa, è stato elaborato un piano audace per diffondere dubbi e persuadere l’opinione pubblica che il cambiamento climatico non era un problema. Il poco conosciuto meeting – tra alcuni dei più grandi players industriali americani e un genio delle pubbliche relazioni – ha forgiato una devastante strategia di successo che è durata per anni e le cui conseguenze sono tutt’intorno a noi».

Tutto è cominciato in un giorno di inizio autunno del 1992, quando Bruce Harrison, un uomo ampiamente riconosciuto come il padre delle PR ambientali, si alzò in piedi una stanza piena di business e pronunciò un discorso come nessuno aveva mai fatto prima. BBC News ricorda che «In gioco c’era un contratto del valore di mezzo milione di dollari all’anno, equivalenti acirca 850.000 sterline di oggi. Il potenziale cliente, la Global Climate Coalition (GCC) – che rappresentava le industrie petrolifere, del carbone, automobilistiche, dei servizi pubblici, dell’acciaio e delle ferrovie – era alla ricerca di un partner della comunicazione per cambiare la narrativa sul cambiamento climatico». Don Rheem e Terry Yosie facevano parte del team di Harrison presenti quel giorno e per la prima volta hanno rivelato alla BBC cosa successe.

Il GCC era stato concepito solo 3 anni prima, come un forum in cui i membri potevano scambiarsi  informazioni e fare pressioni sui politici contro l’azione climatica per limitare le emissioni di combustibili fossili. Anche se gli scienziati stessero facendo rapidi progressi nella comprensione delle cause e della pericolosità  del cambiamento climatico, e che il clima stesse crescendo in importanza come questione politica, nei suoi primi anni la CCC vide pochi motivi per essere allarmata per i suoi affari: l’allora presidente statunitense George HW Bush era un ex petroliere e, come disse un lobbista di alto livello alla BBC nel 1990, «Il suo messaggio sul clima è il messaggio del GCC». L’amministrazione repubblicana  Usa non avrebbe imposto riduzioni obbligatorie dei combustibili fossili.

Ma nel 1992 cambiò tutto: a giugno, la comunità internazionale creò un quadro per l’azione climatica e le elezioni presidenziali di novembre portarono l’ambientalista Al Gore alla Casa Bianca come vicepresidente. Era chiaro che la nuova amministrazione democratica avrebbe cercato di regolamentare i combustibili fossili. La GCC capì di aver bisogno di aiuto per avviare una campagna di comunicazione strategica e presentò un’offerta per accaparrarsi i servigi di una compagnia di PR che avesse la cxapacità di avviare una spregiudicata campagna di disinformazione. .

Anche se pochi al di fuori del settore pubblicità/PR sapevano chi fosse E Bruce Harrison o l’omonima company che dirigeva dal 1973, aveva alle spalle una serie di campagne per alcuni dei più grandi inquinatori statunitensi: aveva lavorato per l’industria chimica screditando la ricerca sulla tossicità dei pesticidi; per l’industria del tabacco e aveva da poco condotto una campagna per conto delle le grandi case automobilistiche contro standard di emissioni più severi, La storica dei media Melissa Aronczyk, che ha intervistato Harrison prima della sua morte nel 2021, dice che «Era un perno strategico per i suoi clienti, assicurando che tutti fossero sulla stessa linea. Era un maestro in quello che faceva».

Harrison aveva messo insieme un  team di anziani PR esperti e di giovani principianti, come Don Rheem che fino ad allora non aveva avuto niente a che fare con la (dis)informazione aziendale ma aveva studiato ecologia prima di diventare giornalista ambientale. Ma Harrison, aveva visto in lui un elemento strategico che gli avrebbe permesso di aggiungere connessioni ambientali e mediatiche al progetto da presentare alla GCC. E Rheem, intervistato dalla BBC, ricorda: «Ho pensato: ‘Wow, questa è un’opportunità per ottenere un posto in prima fila su uno dei problemi di politica scientifica e di politica pubblica più urgenti che stavamo affrontando’. Sembrava estremamente importante»...

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