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Donne, lavoro e discriminazione: una battaglia che non si arresta
Occupazione e disoccupazione
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Lavorano e guadagnano di meno rispetto agli uomini, hanno più difficoltà a fare carriera, e men che meno riescono a raggiungere i vertici di aziende e istituzioni. Sono le donne italiane che, ancora nel 2014, devono fare i conti con una discriminazione di genere in tutti i settori, che le penalizza e le relega ai margini: “una maggioranza trattata da minoranza, nelle istituzioni, nella politica, nella società civile”. La definizione arriva dal Movimento difesa del cittadino (Mdc) e da Codacons che, col patrocinio del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, hanno realizzato il progetto “Dalle pari opportunità alla partecipazione protagonista”: una lente d’ingrandimento sulla condizione lavorativa femminile cominciata tempo fa, attraverso le iniziative sul “lavoro sicuro“, la banca dati sulle normative e gli sportelli di ascolto, e che oggi segna un’altra importante tappa.
Il nuovo progetto, infatti, è di carattere conoscitivo e raccoglie i risultati – in verità non proprio incoraggianti – di un sondaggio online lanciato un anno fa. Lo scopo: far luce innanzitutto sulla “percezione” che la nostra società ha di questo fenomeno. Si scopre così che, su un campione composto per l’81,9% da donne e per il 18% da uomini, il 70% dichiara di aver avuto esperienza diretta o indiretta di discriminazione di genere a lavoro, con ben 8 donne su 10 che a questa domanda hanno purtroppo risposto affermativamente. Anche a livello occupazionale la differenza è notevole: si parla di 10 punti percentuali tra uomini e donne, con picchi maggiori al sud. Sono soprattutto le più giovani a sentirsi penalizzate nell’accesso al mondo del lavoro (e qui la percentuale di differenza con i maschi si allarga al 15%), e tutte individuano come cause principali la maternità, quando non accompagnata da strumenti di tutela idonei, la mancanza di servizi, e gli stereotipi che circondano la donna, molto difficili da estirpare.
Anche perché, a fronte dei casi di discriminazione segnalati, la possibilità di ottenere giustizia si rivela molto esigua: “Il 30% dei casi non si risolvono affatto – spiega Matteo Luppi dell’Università La Sapienza, che ha analizzato i dati raccolti in un anno di lavoro –. Il 20% si risolvono con il licenziamento e il 25% con un cambio di mansione. Solo il 12% dei casi si risolve per vie legali e il 5% con una segnalazione ai mass media”. Secondo lo studioso, la ragione sta non solo nell’eccessiva onerosità che l’avvio di una causa comporta, ma anche e soprattutto nella scarsa conoscenza che le donne e la società hanno delle leggi a tutela delle lavoratrici. Ignoranza rafforzata da un altro dato preoccupante, che riguarda proprio l’auto-percezione della discriminazione: “Si rivela più bassa al sud e nella fascia di età tra i 18 e i 30 anni – continua Luppi – e questo deve essere un campanello d’allarme: c’è bisogno più che mai di informazione ed educazione, perché la mentalità maschilista va sradicata non solo dagli uomini, ma prima di tutto dalle donne stesse”.
Non a caso – e qui non parliamo di percezione – a livello europeo l’Italia è agli ultimi posti per tasso di occupazione femminile e rappresentanza politica, nonostante intorno a noi le cose stiano iniziando a muoversi. I vicini europei, “sulla scia dei programmi di promozione delle pari opportunità dell’Unione Europea, hanno infatti iniziato ad adottare diverse misure per favorire l’imprenditoria femminile e applicare il principio della parità di genere”. Ma qui da noi la strada è ancora lunga: “Manca la fiducia a livello comunitario, manca l’informazione, specie sull’accesso ai finanziamenti. E anche quando c’è, gli ostacoli burocratici spesso scoraggiano qualsiasi tentativo” spiega Gianluca D’Ascenzo, presidente di Codacons Piemonte, che aggiunge: “Proprio il lavoro autonomo e l’imprenditoria femminile sono al centro dell’agenda della Commissione europea per il 2020. Speriamo l’impegno non resti solo sulla carta”.
Un clima di sfiducia che si accentua se si guarda anche all’ultimo punto dell’indagine di Mdc e Codacons, sempre sulla discriminazione di genere ma rivolto all’interno del terzo settore, del mondo del non profit e delle associazioni. Accanto al sondaggio online, un questionario speciale è stato somministrato a sei associazioni tra le più importanti – Assoutenti, Movimento Consumatori, Confconsumatori, Konsumer Italia, Legambiente Onlus, SOS Telefono Azzurro Onlus – e il risultato è che neppure qui le donne ottengono il riconoscimento sperato, a livello di lavoro, mansioni e responsabilità: ad esempio, nessuna forma di “quote rosa” è prevista negli statuti, gli sportelli o uffici per le pari opportunità sono più unici che rari e solo due associazioni su sei propongono dibattiti interni e report sul tema. Un risultato talmente sorprendente che i committenti del sondaggio ora vogliono saperne di più. “Se neppure qui i diritti e le pari opportunità sono sempre garantite, significa che la situazione è grave” precisa il presidente di Mdc, Antonio Longo, che traccia le linee d’azione per il futuro: dal reperimento di fondi al rafforzamento delle reti, fino al monitoraggio e pressing delle istituzioni, per un miglioramento delle norme di tutela. E soprattutto, l’informazione e la sensibilizzazione devono giocare un ruolo decisivo, a partire dai progetti già in corso come la banca dati e il rafforzamento delle reti: “Perché – afferma – la presa di coscienza e le sollecitazioni di tipo culturale sono essenziali per un cambio di direzione e di mentalità”.