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Donne italiane, le grandi assenti dalla politica
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Si è celebrata ieri la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ci siamo occupati molte volte di un fenomeno molto grave, che si può declinare secondo molti aspetti, non soltanto legati ad episodi efferati e cruenti. È la stessa idea di donna propagandata troppe volte dalla televisione a generare stereotipi che a lungo andare generano aspettative e comportamenti poco rispettosi del genere femminile: da qui incomincia quel cammino che porta a una violenza diffusa. Occorre parlare del ruolo della donna nella società, e anche in politica: su questo l’Italia è molto, troppo indietro.
Basilicata senza donne. Per la seconda volta consecutiva il Consiglio regionale lucano sarà composto da soli uomini. Nessuna candidata è stata eletta. Forse una consigliera entrerà, ma dipende dalle volontà di un eletto che è pure senatore: si aspetta ancora se opterà per Roma o per Potenza. In Basilicata i cittadini che si sono recati alle urne (pochi, meno del 50% degli aventi diritto) sono tutti e tutte maschilisti? In realtà anche nella fase di formazione delle liste, sparute sono state le presenze femminili: alla fine 55 donne su 358 candidati. In Trentino, grazie ad un provvedimento minimo sulle “quote rosa” (l’obbligo di mettere in lista almeno un terzo di donne), questi numeri non si vedono: alle recenti elezioni provinciali i candidati erano 784 di cui 295 donne. Alla fine sono sei le consigliere.
Numeri comunque inaccettabili a livello assoluto. Se poi li paragoniamo a quelli di molti paesi che definiamo poveri, in via di sviluppo o emergenti e a cui dovremmo insegnare la democrazia, capiamo quanto cammino dovremo ancora noi percorrere. In nazioni che non ti aspetti, la percentuale di donne attive nella vita pubblica sta crescendo fino a superare le nostre esigue cifre. In Africa, per esempio, la presenza di donne nei governi e nelle istituzioni è una reale garanzia della capacità di affrontare i problemi in maniera diversa. Non ci sono donne dittatrici, anzi, è più facile che ottengano il premio nobel per la pace. Le donne, dall’India ai paesi islamici, guadagnano terreno e giungono a ricoprire posti di potere non per una gentile concessione del mondo maschile, come avviene troppo spesso dalle nostre parti, ma dapprima per una loro efficace presenza nella società poi per la loro effettiva predisposizione alla leadership. In genere più determinate e più colte (se non è negato loro il diritto all’istruzione) le donne africane sono le grandi protagoniste del cambiamento.
Certamente la nostra struttura sociale, più articolata e complessa, presenta altre caratteristiche e quindi altre sono le motivazioni che impediscono all’universo femminile di avere una degna rappresentanza anche in politica. Mentre in Sud America le donne presidente non fanno più notizia, in Europa abbiamo la cancelliera Angela Merkel, una vera eccezione, se escludiamo i paesi scandinavi. Proprio gli Stati del nord Europa dovrebbero insegnarci qualcosa. Soprattutto il nesso che esiste tra le consuetudini e la cultura collettive e i comportamenti politici: se le donne hanno un ruolo centrale in tutti i settori della società lo avranno anche in politica, se invece saranno confinate (o si auto confineranno) nel privato ecco che nessuna legge sulle quote rosa potrà garantire loro il posto.
In Italia un misto di arretratezza culturale, stili di vita e debolezza della nostra democrazia determina la situazione odierna: poche donne in politica e per giunta considerate intruse o estranee, percepite come oggetti non bene identificati nelle aule parlamentari o negli uffici ministeriali. Donna segretaria va bene, donna ministro meno. Così nei partiti: primarie PD, nessuna donna tra i tre pretendenti segretario, anche se soltanto a sinistra abbiamo una presenza significativa di donne. Se guardiamo a destra ce ne sono, ma purtroppo quasi tutte sono alla corte di Silvio (come pure gli uomini, a cominciare da Sandro Bondi che si getterebbe sotto un treno per amore di Berlusconi). Donne litigiose e furiose, che fanno terra bruciata come Micaela Biancofiore o Daniela Santanchè. Donne che scimmiottano i peggiori modelli maschili. Ci sono alcune donne sindaco, ma mai nessuna Primo ministro o Presidente della Repubblica.
Come spiegare tutto questo? Le donne sono rinunciatarie? Si sono stufate di combattere? Non sembra perché su altri versanti, piano piano, con una lentezza a volte esasperante, le donne stanno conquistando gli spazi meritati: dalle aziende alle università fino alla pubblica amministrazione. Purtroppo però le statistiche sono convergenti e inequivocabili. Le donne guadagnano di meno (anche a parità di orario e di mansioni!), faticano di più a “fare carriera”, lavorano di più, molto di più, se consideriamo le attività domestiche. Il cambiamento sociale però sembra andare nella direzione giusta: almeno sulla carta l’occupazione femminile viene valorizzato, si cerca di armonizzare famiglia e lavoro, e anche i maschi si stanno accorgendo di dover dare una mano alle proprie partner.
In fondo, però, rimane un qualcosa che respinge le donne dall’attività politica. Non è certamente attraente sapere dal principio di dover andare in un luogo dove gli stereotipi e le battute sessiste sono all’ordine del giorno. Così quasi tutte preferiscono starsene a casa, dove, così sembra, si raggiungono più soddisfazioni. Rendere più “femminili” i luoghi della politica sarebbe un primo passo.