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Mele nella tormenta
Multinazionali
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Foto collettivo Pozol, che ringraziamo.
Sebbene esista un’infinità di varietà di mele, un piccolo gruppo di multinazionali ha deciso che solo cinque varietà possono raggiungere mercati e supermercati di tutto il mondo. In questo splendido articolo, Inés Durán Matute – ricercatrice in antropologia sociale intervenuta al primo degli “Incontri internazionali di resistenze e ribellioni” convocati dalle comunità zapatiste (foto) – spiega perché dovremmo tutti sentirci una mela, perché dovremmo farlo mentre guerre, genocidi e femminicidi moltiplicano le sofferenze nel mondo, infine, perché e soprattutto come migliaia di altre mele, lontano dai riflettori dei grandi media e dei grandi poteri, comunque resistono durante quella che gli zapatisti chiamano la tormenta capitalista. “Come resistere alla tormenta e contemplare una nuova alba? Abbiamo cominciato a smettere di vedere e sentire altre forme di vita, ma ora dovremo cercare in esse le risposte…”.
Voglio condividere con voi che ultimamente mi sono sentita come una mela. Non so se vi è mai successo. Forse lo sapete già, ma se seminiamo un seme di una mela nascerà un albero di mele diverse. Che cosa fantastica! Le mele hanno qualcosa di speciale che gli scienziati chiamano eterozigosi estrema, il che implica che quando si seminano i semi non si ottengono cloni. Nessun albero può essere lo stesso a meno che non innestiamo un taglio dall’albero originale. Diciamo che si potrebbe pensare come qualcosa di simile all’essere umano, solo che, se piantiamo un nostro braccio, non avremo un clone. Almeno, non ancora.
Sebbene esista un’infinità di varietà di mele, solo cinque varietà hanno raggiunto lo status di essere presenti nei mercati e nei supermercati di tutto il mondo. Queste mele non sono lì perché siano le più gustose o con la migliore consistenza, ma perché sono le più resistenti nella produzione capitalista.
Qui potremmo chiederci: cos’è successo al resto delle mele? è stata una tormenta che ha danneggiato i frutti, spezzato i rami e sradicato i tronchi?
La tormenta che stiamo vivendo non è capace solo di rovinare il nostro raccolto, ma anche di bandire le possibilità di vite diverse. Sotto la pioggia sopravvivono solo poche mele, ma la loro diversità, il mondo che ciascuna contiene, scompare. Proprio per questo mi sento una mela.
La mia preoccupazione per le mele è nata dopo un paio di visite al mercato e dopo aver visto come dominavano il reparto frutta. Mi piacciono le mele, ma ho cominciato a chiedermi perché ci sono queste e non altre. Ma soprattutto mi chiedevo: che fine hanno fatto le prugne gialle, i mirti, le nespole e le ciliegie capulín?
Le mele, diciamo “d’élite”, hanno un posto privilegiato nel sistema. E questo è ciò che accade con molti dei nostri alimenti, ad esempio, ci sono solo nove piante che producono il 66% dei nostri raccolti. Anche se il mais è uno di questi, non possiamo ignorare la trasformazione del mais nativo da parte di ciò che chiamano “mais migliorato”, cioè quello modificato per adattarsi al sistema. Una manciata di multinazionali ha cercato di controllare la fornitura di sementi, modificandole, brevettandole e privatizzandole. Ciò ha influito sull’agrodiversità del pianeta e sulla possibilità che nascano nuove varietà che si adattino alle condizioni attuali, mentre ha creato nei contadini la dipendenza dalle sementi ibride e dagli agrotossici.
Sono proprio le monocolture insieme ai diversi processi di industrializzazione, commercializzazione e urbanizzazione che hanno interessato le foreste naturali. Negli ultimi vent’anni, in un paese come il Messico, ad esempio, la copertura arborea è diminuita del 9,2%. Jalisco (stato del Messico situato nella parte occidentale del paese e affacciato sull’oceano Pacifico) ha perso 8mila ettari di foresta naturale negli ultimi quindici anni mentre ha lasciato il posto alle note bacche, all’agave e all’avocado. Analizzando i dati dell’Istituto di Informazione Statistica e Geografica di Jalisco vediamo che mentre, dal 1983, gli ettari coltivati a mais sono diminuiti di quasi il 40%, quelli di agave – seppure con alti e bassi – sono cresciuti del 1.169%, e oltre. Recentemente, dal 2008, i prezzi dell’avocado sono aumentati del 1,228% e quelli dei lamponi del 1,849%: questi si posizionano come i prodotti agricoli di maggior valore, mentre la vita dei loro lavoratori si riduce a pochi pesos.
Paesaggi come questo sono stati dipinti di bianco con teloni da serra quando gli ecosistemi non sono appassiti e desertificati. Questi prodotti di esportazione hanno eliminato le foreste native, espulso gli animali non umani, avvelenato la terra e reso scarsa l’acqua. Ciò è stato ottenuto con il disboscamento clandestino, gli incendi dolosi, il controllo dei cartelli e la collusione delle autorità; situazioni non estranee al Chiapas o ad altri stati, ancor meno con il cosiddetto Treno Maya. Infatti, è proprio negli Stati della Penisola che si concentra più della metà della perdita di foreste del Paese...