Nel piatto mettiamo… i pomodori

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Si è aperta pochi giorni fa la VI edizione di Tutti nello stesso piatto, rassegna organizzata da Mandacarù Onlus e Altromercato per promuovere i temi del cibo, della biodiversità, della sovranità alimentare, dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile attraverso proiezioni e laboratori, evidenziando i legami globali che raccolgono il mondo in una fitta ragnatela di dipendenze, cause ed effetti.

E per introdurre l’edizione 2014 del Festival si è scelto di invitare un giornalista che ha dedicato in tempi recenti mesi di lavoro proprio a una ricerca che, pur partendo da verità note, lascia ancora una volta senza parole. Parliamo di Stefano Liberti, regista e autore di A Sud di Lampedusa e Land Grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo, che assieme alla collega francese Mathilde Auvillain ha realizzato un’inchiesta multimediale dal titolo inequivocabile: The dark side of the Italian tomato. L’esperimento, un web doc che si presenta in una veste nuova e interattiva, traendo spunto dal formato delle inchieste americane, segue la strada percorsa dai pomodori coltivati nel sud della nostra penisola (in particolar modo in Puglia) dopo la raccolta.

Il punto di partenza sono immigrati clandestini sottopagati e sfruttati da caporali senza scrupoli, costretti a lavorare fino a 15-20 ore al giorno per poco più di 3 euro a cassone. Ma questo, purtroppo, già lo sapevamo.

L’integrazione rappresentata dalle ricerche giornalistiche di Liberti e Auvillain aggiunge invece nuovi interessanti elementi riguardanti il viaggio che, una volta raccolto e trasformato in concentrato, il pomodoro intraprende. Verso dove? Proprio verso quelle terre africane da cui i migranti provengono, in particolare il Ghana. E i risultati dell’inchiesta portano a galla “coincidenze” sconcertanti, come ad esempio il fatto che, proprio contemporaneamente all’aumento di importazione di pomodoro trasformato, si assiste a un crollo vertiginoso della produzione di pomodoro locale che, fino al 2000, rappresentava nel nord del Ghana una delle principali aree di sviluppo per il mercato locale. Senza contare che il pomodoro concentrato, importato in lattine che portano ben in vista un marchio italiano, nel 70% dei casi è lavorato in Cina, fattore non trascurabile se pensiamo alle conseguenze che solleva tra i due Paesi in termini di “guerra di mercato”. La domanda che sorge spontanea è: com’è possibile che un prodotto di importazione possa essere la causa della crisi subita dalle agricolture familiari ed essere in grado di soppiantare le produzioni locali? Com’è possibile che il prezzo sia concorrenziale a quello di prodotti coltivati localmente? Si tratta del cosiddetto fenomeno del dumping e le ragioni sono essenzialmente due: da un lato, l’abbassamento delle tariffe doganali che hanno aperto - meglio spalancato - il mercato alle importazioni provenienti dall’estero e che, se andranno in porto le modifiche proposte dagli EPA (Accordi di Partenariato Economico) porteranno all’abbattimento delle tariffe irrisorie al momento rimaste in vigore; dall’altro le ingenti sovvenzioni concesse dall’Unione all’agricoltura europea. Basti pensare che i prodotti in vendita al mercato di Accra sono per il 90% provenienti dall’estero, e non parliamo solo di pomodoro ma anche di altri prodotti di uso comune quali riso (dagli Stati Uniti), carne (dall’Argentina), sardine (dal Portogallo), corn flakes (dalla Germania) e olio di palma (dall’Indonesia). Da rilevare poi che un ulteriore effetto collaterale di questi meccanismi è l’esistenza di aziende italiane, situate soprattutto nel Sud della penisola, votate esclusivamente alla trasformazione del pomodoro per l’esportazione africana. Sono le interconnessioni della globalizzazione, i cui risvolti rimangono ancora, troppo spesso, in ombra e che accendono i riflettori su quell’equilibrio precario tra sicurezza alimentare e sovranità alimentare. Ed è significativo riflettere sul fatto che questi flussi hanno portata e dinamiche inversamente proporzionali alla loro direzione: da un lato i prodotti che “dai nord” si muovono verso “i sud” in quantità e velocità inimmaginabili, dall’altra le persone, i migranti che “dai sud” si incamminano verso “i nord” con difficoltà inenarrabili e ostacoli insuperabili, per poi raggiungere la meta, nel migliore dei casi, per una posizione lavorativa sottopagata e senza tutele.

… Ma questo è solo uno dei tanti appuntamenti proposti da Tutti nello stesso piatto: dal 5 al 29 novembre vi invitiamo a consultare il ricco programma online e a farvi coinvolgere dagli spunti e dalle domande che si stagliano all’orizzonte del futuro del nostro pianeta. Partendo anche dalla nostra tavola.

Anna Molinari

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