Pensioni future: quale vecchiaia?

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La riforma delle pensioni ed in generale il gran parlare di riforme del welfare degli ultimi anni, non hanno avuto il solo effetto di trattenere nel mercato lavoratori ormai stanchi e demotivati e di bloccare invece l’entrata ai “giovani” 30enni che con le loro famiglie dovrebbero formare la spina dorsale della società attiva, ma ha anche inflitto un grosso costo psicologico a tutte le generazioni coinvolte.

L’incertezza e la preoccupazione di vecchie e nuove generazioni sono ugualmente supportate da ignoranza e informazione.

Da un lato, esiste un problema di “analfabetismo finanziario” che coinvolge - come rilevato dal Censis nella recente indagine “Promuovere la previdenza complementare come strumento efficace per una longevità serena” - quasi la metà dei lavoratori italiani, senza risparmiare i laureati in discipline economiche. La cattiva comprensione di meccanismi economici quotidiani, certo non aiuta a districarsi nel nuovo sistema pensionistico contributivo, che crea per ogni individuo una situazione previdenziale e lavorativa pressoché unica.

Dall’altro lato, i dati sulle prospettive di vita dei futuri pensionati lasciano il lavoratore - specie i più giovani - perplesso e preoccupato.

Secondo il rapporto della Ragioneria Generale dello Stato, già nei prossimi anni si vedrà un calo dell’importo delle pensioni, calo che colpirà soprattutto i lavoratori autonomi: tenendo conto dell’aumento negli ultimi anni - dietro richiesta dei datori di lavoro - dei “lavoratori autonomi” e della variabilità delle tipologie contrattuali che un individuo può incontrare nel corso della propria vita lavorativa, il dato rende le nuove generazioni sempre più nervose. In particolare, si calcola che entro i prossimi 10 anni, il lavoratore autonomo finirà con il guadagnare il 51% lordo dello stipendio attuale e entro 20 anni il 47%. Anche le pensioni dei lavoratori dipendenti scenderanno, anche se ad un ritmo minore, ma le difficoltà di entrata nel mondo del lavoro, la precarietà contrattuale e i contratti atipici renderanno il conteggio a fine carriera lavorativa sempre più complicato ed il pensionamento una fonte di ulteriore stress e frustrazione a completamento di una vita lavorativa già difficile.

Anche i dipendenti pubblici temono le complicazioni in uscita, a causa del precariato ormai diffuso e della difficoltà di destinare una parte dello stipendio al risparmio o alla previdenza complementare.

La possibilità di integrare la propria pensione attraverso istituzioni private è un argomento non facile per i lavoratori: spesso non hanno idea di come funzionino e quasi una persona su tre semplicemente non si fida, per non parlare del 40% che non si può permettere di accantonare una quota dello stipendio.

È particolarmente interessante e preoccupante il dato che rivela come spesso i lavoratori giovani non accedano a questi servizio ritenendo di essere troppo giovani per pensare alla pensione, mentre i lavoratori over 35 pur volendo iniziare a pensare al proprio pensionamento, non possono permettersi la previdenza complementare. Una scarsa consapevolezza del proprio percorso lavorativo, unita forse ad una mancanza di fiducia nel futuro, portano i lavoratori italiani a non provvedere alla propria vecchiaia in maniera adeguata: secondo una recente ricerca Natixis Global Asset Management, si prevede che solo un sesto dei lavoratori di oggi potranno contare su entrate adeguate per mantenere uno stile di vita decoroso nell’età pensionabile.

Il problema sembra essere che i cambiamenti occorsi negli ultimi anni hanno reso inutili i vecchi schemi, portando i consumatori in una situazione in cui devono trovare nuove soluzioni e nuovi metodi per creare i propri “portafogli previdenziali”.

I cambiamenti sono ancora in corso, la situazione futura non è chiara e la fiducia come consumatori e lavoratori - tra i giovani ma non solo - vacilla.

Quattro giovani su 10 sono preoccupati di trascorrere una vecchiaia in serie ristrettezze economiche, spesso con la paura di non riuscire comunque a rimediare, a causa di uno stipendio basso o di un percorso lavorativo difficile.

Insomma, lo smantellamento dello stato sociale tradizionale, cominciato a fine anni novanta con una evidente leggerezza politica, ha cominciato a mietere le prime vittime e il domani appare sempre più come una precaria incognita.

Urge una riforma complessiva del mondo del lavoro e della previdenza in quanto anche gli ultimi recentissimi tentativi operati dall’ex ministro Fornero hanno dimostrato evidenti limiti - leggi esodati e precari rimasti precari- ed un respiro assai corto. L’Italia aspetta ancora, ma ormai è allo stremo.

Fabio Pizzi

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