India: il rifiuto di Sonia Gandhi e la scelta di Singh

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"Ogni storia ha la sua fine. E la fine della tormentata vicenda istituzionale indiana, dopo il gran rifiuto della signora Gandhi, è l'inizio di un nuovo governo al cui comando il presidente dell'India, su proposta del Partito del Congresso e dei suoi alleati, ha posto Manmohan Singh. La lunga maratona era iniziata l'altro ieri con i colloqui di Sonia Gandhi al palazzo presidenziale. Ma poi la premier in pectore, martedi sera alle sette, aveva spiegato ai suoi sostenitori e ai deputati del Congresso che era ben decisa a fare un passo indietro. Senza spiegare esattamente le motivazioni che "con umiltà" le imponevano la rinuncia, Sonia Gandhi è diventata ancor più protagonista nella convulsa giornata di ieri, dopo che il giorno prima la piazza l'aveva chiamata ad assumere l'incarico". Così Emanuele Giordana dell'agenzia giornalistica Lettera 22 inizia l'analisi della travagliata vicenda che ha portato alla scelta del premier indiano Manmohan Singh.

"Singh è per il momento l'uomo giusto al momento giusto" - afferma Giordana. "Ma in realtà - prosegue - è Sonia Gandhi la vera vincitrice della partita". "Ritirandosi dalla scena, Sonia ha spuntato l'arma dei nazionalisti radicali del Bjp (Bharatiya Janata Party) che avevano promesso fuoco e fiamme contro l'infedele straniera e che adesso si ritrovano con un indiano al cento per cento che viene dal Punjab. Ha spuntato le armi anche alla speculazione finanziaria ed è certo che la borsa avrà un rilancio, rassicurata dalla prospettiva di una crisi velocemente risolta e da una rapidissima capacità del Congresso di accettare quanto la signora Gandhi decide".

E sempre Giordana, in un precedente articolo, ricostruisce le minacce delle componenti radical-nazionaliste dei membri dell'Rss, l'organizzazione integralista responsabile dell'assassinio del Mahatma Gandhi all'indomani dell'indipendenza del paese, e le pressioni del mondo finanziario che teme che gli alleati comunisti del governo possano ricattare il premier sulla politica economica. Il nuovo capo del governo, primo premier della minoranza Sikh, ha promesso una politica di sviluppo che porti avanti le riforme ma non dimentichi la sicurezza sociale e il lavoro per le fasce deboli. E proprio la scelta del ministro delle finanze costituisce il prosimo banco di prova del neo-premier, nota un articolo del Guardian.

Come affermava il professor Michelguglielmo Torri, docente di storia asiatica all'Università di Torino, in un'intervista rilasciata a Lettera 22 la scelta della Ghandi di condurre il Congresso alla vittoria per poi delegare qualcun altro "era già nei piani". "Non si può escludere. L'annuncio della Gandhi ha indotto reazioni quasi di disperazione tra i membri del partito e grande sconcerto tra gli indiani. Se è vera questa ipotesi, la Gandhi vorrebbe rafforzare la propria posizione provocando un contraccolpo nell'opinione pubblica che la induca a ritirare le dimissioni. Sarebbe anche un modo per contrastare la campagna che le forze dell'induismo politico, che fanno capo allo sconfitto Vajpayee, stanno per lanciare contro di lei. Sulla base del solito slogan che la Gandhi, viste le sue origini italiane, non sarebbe una vera indiana" - sottolineava il professor Torri.

In definitiva - conclude Giordana - "la Gandhi esce rafforzata dalla vicenda e in grado di rientrare in scena in qualsiasi momento. Persino, dunque, se Singh non dovesse dimostrarsi all'altezza. Comunque vadano le cose, chi ha oggi il timone in India resta Sonia Gandhi". [GB]

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