40 anni di vita per il franco cfa, cooperazione o colonialismo?

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Sono rappresentati dal presidente ivoriano Alassane Dramane Ouattara i 15 paesi africani della zona del franco cfa alle celebrazioni previste oggi a Parigi per i 40 anni di vita della moneta ancorata all’euro. L’esistenza stessa del franco cfa è al centro di un vecchio dibattito tra chi lo considera uno strumento di cooperazione, una garanzia di stabilità e i suoi detrattori che vedono nella moneta una pesante eredità post coloniale, uno strumento di dominazione tra le mani di Parigi a 50 anni dalle indipendenze.

In conferenza stampa congiunta Ouattara e il ministro francese per la Cooperazione economica e finanziaria Pierre Moscovici hanno dichiarato che “il 40° anniversario rappresenta un’occasione per riaffermare la nostra volontà comune di guardare al futuro della relazione tra l’Africa che cambia e la Francia”.

In realtà il franco cfa sta per compiere 70 anni e oggi vengono commemorati gli accordi di cooperazione monetaria firmati nel novembre 1972 tra Parigi e sei paesi dell’Africa centrale. Nel 1973 è stata istituita l’Unione monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa) che lega finanziariamente alla Francia altri otto paesi. Qualche anno dopo i seggi delle banche centrali dell’Africa centrale e dell’Africa occidentale sono stati trasferiti rispettivamente da Parigi a Yaoundé e Dakar. Dagli accordi, firmati in tutto da 15 paesi tra cui anche le isole delle Comore, è rimasta fuori la Mauritania. Nel 1994 la decisione unilaterale del primo ministro francese Edouard Balladur di svalutare il franco ha avuto per diversi anni pesanti contraccolpi sulle economie africane. Già allora l’opportunità di uscire dalla zona cfa è stata paventata da alcuni politici ed economisti africani che hanno riaperto il dibattito da quando l’euro minaccia di crollare a causa dei crescenti debiti pubblici dei paesi dell’Unione Europea e del rallentamento delle economie del vecchio continente.

Per l’economista senegalese Demba Moussa Dembelé, direttore del ‘Forum africano delle alternative’, “è impensabile che le banche centrali africane siano soltanto delle succursali del Tesoro pubblico francese e debbano seguire alla cieca la politica monetaria della Banca centrale europea, cioè la lotta all’inflazione, condannando i nostri paesi alla stagnazione”. Dembelé fa il confronto con quei paesi africani che non sono ancorati all’euro, come Ghana e Nigeria, “che attirano molti più capitali rispetto a noi”.

A contestare un “matrimonio forzato” è anche l’associazione francese ‘Survie’, impegnata a denunciare meccanismi vincolanti, tra cui il franco cfa, e la rete di relazioni poco ‘chiare’ tra la Francia e le sue ex colonie, nota con il termine di ‘Françafrique’ (‘Franciafrica’). Come garanzia della stabilità del franco cfa, Parigi obbliga i 15 paesi africani a depositare la metà delle proprie riserve in valuta straniera su un conto del Tesoro pubblico francese, “privandoli di fatto di risorse do cui non possono disporre in modo sovrano” ha sottolineato ‘Survie’, evidenziando “l’incongruenza che le economie di alcuni tra i paesi più poveri al mondo sono vincolate a una moneta, l’euro, tra le più forti”. Di conseguenza in questo periodo le economie africani sono anche perdenti negli scambi commerciali con i paesi che utilizzano dollaro e yuan. Inoltre, negli ultimi anni le ex colonie africane hanno diversificato i partenariati commerciali, uscendo da un rapporto di esclusività con la Francia per guardare in direzione di Stati Uniti, Germania, ma soprattutto Cina, India e altre potenze emergenti.

Fonte articolo: misna.org

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