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In Sudan, di oro si vive o si perisce
Economia di guerra
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Sudan - Fot di Abdulaziz Mohammed da Unsplash.com
“Oggi è venerdì, ma non uno qualunque. È il 21 aprile. È Eid al Fitr, la festa che segna la fine del mese di Ramadan. Ho finito il turno di notte al lavoro e sono rientrato. Doccia, brioche e cappuccino e poi due ore al telefono con mamma e con gli amici che stanno in Sudan. Alle 10 ora italiana e anche sudanese stavano festeggiando, c’era un sacco di gente a casa, ho visto tutti in video. Mamma e papà mi dicono che va tutto bene, che a Omdurman tutto è normale. I negozi sono aperti. Si lavora, quindi. Ogni tanto, si sentono boati e spari, ma il tutto è normale. Non nego la mia apprensione perché ogni volta che i media annunciano un imminente colpo di stato o qualche scorribanda militaresca si fa strada la paura. Questi ultimi sette giorni, raccontati dai giornali internazionali, sono una catastrofe inaudita. Ed effettivamente questa vicenda dai colori incerti è davvero inaudita e indicibile, ma la faccenda è circoscritta ad alcune basi sparse nel Paese, in particolare negli Stati del Darfur e in Kordofan e soprattutto a Karthoum, in particolare nelle vicinanze dell’aeroporto; quartiere residenziale dove il generale Dagalo vive con la sua famiglia e con molti componenti della sua milizia, le note Forze di Supporto Rapido. Tutti sanno dove vive. Infatti l’esercito regolare lì non spara perché sarebbe una strage di civili. E di stragi il Sudan e i sudanesi non ne vogliono più sapere. La paura o meglio il terrore della guerra civile è un sentimento indescrivibile. A morire siamo noi, gente normale che si vede attraversare il cranio da un proiettile mentre è seduta al tavolo della propria casa, ragazzi che sono a scuola a seguire una lezione. Non si può morire così, è inaccettabile. Altra cosa sono quelli che indossano un’uniforme, che decidono di seguire una certa strada; quelli sanno che se vanno a combattere potrebbero morire; loro in qualche modo scelgono; per questi non riesco a piangere, non ho lacrime. Le vittime di una guerra invece non scelgono di morire. Ma la cosa che mi fa più male è che si muoia per la follia di un uomo e della sua sete di denaro, pronto a svendersi all’uno o all’altro Rockefeller di turno a seconda della convenienza. Non importa chi tu sia, Unione Europea o Russia, l’importante è essere pagato, ricompensato per qualche affare: svendita di esseri umani, terra o oro, poco importa. Ma come si fa a non rendersi conto che ci sono potenze che stanno abusando di te, che ti usano per i propri affari e tu rischi pure di perdere la fiducia dei ‘tuoi’, della tua ‘tribu’ per un pugno di soldi che se ne andranno insieme a te. Ma come è possibile non rendersene conto e farlo sulle spalle di chi ha la tua stessa pelle, di chi fa parte della tua stessa storia. Io non riesco a capire. Non ce la faccio”.
A. è originario del Darfur e dal 2016 risiede in Italia, paese di cui a breve (forse) sarà anche cittadino a tutti gli effetti. Ha in mente il suo paese. Ne conosce la geografia e la storia. Ha una visione del mondo aperta e complessa. Nella lunga chiacchierata fatta insieme – un’ora e quaranta minuti in cui chi firma questo articolo non ha neppure posto una domanda iniziale per avviare la discussione – A. non ha mai interrotto il flusso di parole.
In Sudan le faccende sono troppo complesse per essere raccontate tutte. Ma la questione è che non si tratta solo di faccende sudanesi. Quanto sta accadendo nelle ultime settimane non è certo solo esito di una disputa tra capricciosi militari e paramilitari armati che non rispettano i patti. Le forze in gioco sono ben altre e il gioco della destabilizzazione non è altro che un deterrente per far sì che altri fili si tessano sotto il velo del teatro bellico. Nel sottosuolo c’è tutto ciò che importanti investitori internazionali stanno cercando, russi in primis. O-R-O. Oro che si trova ovunque e specialmente in Darfur e Kordofon, dove negli ultimi anni sono stati scoperti importanti giacimenti. Lì c’è chi vive di oro e chi muore. Risorsa e minaccia per il Sudan postcoloniale: un paese che come ci raccontano gli studi archeologici, fin dall’epoca antica, prima dell’anno mille, ha conosciuto la corsa all’oro. Oggi il Sudan è nella top ten dei paesi produttori a livello mondiale e al terzo posto nel continente africano, preceduto da Ghana e Sudafrica. L’estrazione è artigianale per circa l’80% con conseguenze devastanti sui minatori, prevalentemente giovani, che non usano alcuna protezione esponendosi agli effetti collaterali di mercurio e cianuro utilizzati nelle prime fasi del processo estrattivo e produttivo. Danni irreversibili alla salute e all’ambiente ai quali si sommano quelli sociali, economici e politici legati a questa corsa che sta conoscendo sviluppi senza precedenti. Tra i partecipanti spicca la Federazione russa che dispiega ogni mezzo pur di portare a casa i risultati sperati e lo fa con la forza. Azione estrattiva nell’entroterra accompagnata dal rinforzo sul waterfront del Mar Rosso di una base navale di controllo del territorio nazionale e continentale: un faraonico progetto di conquista territoriale.
Sara Bin

(1976) vive in provincia di Treviso e lavora a Padova. É dottore di ricerca in geografia umana; ricercatrice e formatrice presso Fondazione Fontana onlus dove si occupa di progetti di educazione alla cittadinanza globale e di cooperazione internazionale; è docente a contratto di geografia politica ed economica; ha insegnato geografia culturale, geografia sociale e didattica della geografia. Collabora con l’Università degli Studi di Padova nell'ambito di progetti di educazione al paesaggio e di formazione degli insegnanti. Ha coordinato lo sviluppo e l'implementazione dell'Atlante on-line in collaborazione con il Ministero dell'Istruzione, del'Università e della Ricerca. Dal 2014 fa parte del gruppo di redattori e redattrici di Unimondo. Ha svolto attività didattica e formativa in varie sedi universitarie, scolastiche ed educative ed attività di consulenza nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Tra i suoi principali ambiti di ricerca e di interesse vi sono le migrazioni, la cittadinanza globale, i progetti di sviluppo nell’Africa sub-sahariana, lo sviluppo locale e la sovranità alimentare. Ha svolto numerose missioni di ricerca e studio in Africa, in particolare in Burkina Faso, Senegal, Mali, Niger e Kenya. E' membro dell'Associazione Italiana Insegnanti di Geografia e presidente della sezione veneta.