Il calendario sfoglia il giorno numero 230 di questa fase della guerra

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Immagine: Atlanteguerre.it 

La guerra è guerra, viene da dire. E gli affari sono affari. Così, mentre il calendario sfoglia il giorno numero 230 di questa fase della guerra in Ucraina, scopriamo che Erdogan incontra Putin per parlare d’affari. Gas, nello specifico, immaginando che la Turchia possa diventare la futura piattaforma internazionale per comperarlo. Addio Amsterdam, quindi – ipotesi che per altro trova molti d’accordo – e, chissà?, avanti Ankara, con la benedizione di Putin, che trova Erdogan “partner affidabile”.

Tutto questo è accaduto ad Astana, come è tornata chiamarsi la capitale del Kazakistan dopo la breve stagione come Nur Sultan. Putin e Erdogan si sono incontrati. Le cancellerie lo avevano annunciato. Si sperava in qualche importante passo negoziale: zero assoluto. Si è parlato d’affari, con la Turchia che si è garantita le forniture di gas russo.  Turkish Stream, il gasdotto che collega i due Paesi, funziona a pieno ritmo. Mossa abile, quella del neo sultano turco, soprattutto pensando che si tratta dello stesso Erdogan che a Kiev, qualche mese fa, si è garantito un ruolo di primo piano nella ricostruzione dell’Ucraina distrutta dalla guerra.

L’ambivalenza turca, il fare affari con tutti, vale oro colato per le casse di Ankara. E’ per altro la logica prosecuzione di tutto ciò che, fra il 2014 e il 2022, ha portato all’attuale disastro. Il prevalere degli affari fra Unione Europea, Kiev, Mosca, ha sempre tenuto lontana la soluzione reale del conflitto nel Donbass

Ora, mentre ancora si fanno affari, si continua a morire. Leopoli e Ternopil, città dell’Ucraina occidentale, sono sotto attacco di giorni. Pare siano state colpiti solo obiettivi militari, ma il conto dei morti fra i civili è difficile. Una stima approssimativa parla, ad oggi, di almeno 50mila morti, ma il numero non è ufficiale. Muoiono le persone, si distrugge un Paese. Mosca dichiara di aver reso inservibile, ad oggi, almeno il 30% dell’infrastruttura energetica dell’Ucraina. Questo significa aver messo in ginocchio la struttura sociale e in grave difficoltà ospedali e centri di assistenza. Kiev però non molla. Ha colpito la regione russa di Belogorod. Il bersaglio è stato un deposito di armi, ma le autorità russe hanno reagito accusando di “terrorismo” le forze armate ucraine.

Sul piano militare, la situazione di Mosca resta difficile. L’offensiva dell’esercito ucraino è stata consistente nelle ultime settimane. Nel Donbass non solo hanno fermato l’avanzata russa, ma hanno messo sotto pressione le province di Lugansk e Donetsk. Mosca dovrà difenderle schierando uomini che in questo momento non ha o non sono bene addestrati.

Ormai, tutti gli osservatori concordano: la guerra sarà lunga e l’inverno terribile. Gli alleati europei e gli Stati Uniti hanno garantito al presidente Zelensky che continueranno le forniture di armi ed equipaggiamento anche durante l’inverno. Il segretario della Nato, Stoltenberg, ha confermato che l’Alleanza Atlantica sarà “al fianco dell’Ucraina tutto il tempo necessario”. Poi annunciato che presiederà una “riunione del gruppo di pianificazione nucleare. La prossima settimana, la Nato terrà la sua esercitazione di deterrenza nucleare pianificata da tempo. Si chiama “Mezzogiorno fisso”. E’ un allenamento di routine, programmato ogni anno”.

Sono, quindi, ancora le armi le protagoniste. La diplomazia tace e mentre Putin si dice ormai pronto a ritirarsi dall’accordo che permetteva al grano ucraino di lasciare i porti per raggiungere il Mondo, Zelensky chiarisce ancora una volta che “con Putin non ci sono spazi diplomatici possibili. Tratteremo solo con un altro, eventuale, capo della Russia”. Una posizione dura, che trova l’esatta controparte nel capo del Cremlino. Il presidente russo si è detto possibilista circa un confronto con Biden, non con Zelensky. E’ l’ennesimo sfregio: il Cremlino continua a non riconoscere come legittimo il governo di Kiev e mette in dubbio la sovranità dell’Ucraina, tanto da voler trattare con Washington. Un gioco terribile, che fa capire come, per tutti, la pace sia cosa secondaria.

Raffaele Crocco

Sono nato a Verona nel 1960. Sono l’ideatore e direttore del progetto “Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo” e sono presidente dell’Associazione 46mo Parallelo che lo amministra. Sono caposervizio e conduttore della Tgr Rai, a Trento e collaboro con la rubrica Est Ovest di RadioUno. Sono diventato giornalista a tempo pieno nel 1988. Ho lavorato per quotidiani, televisioni, settimanali, radio siti web. Sono stato inviato in zona di guerra per Trieste Oggi, Il Gazzettino, Il Corriere della Sera, Il Manifesto, Liberazione. Ho raccontato le guerre nella ex Jugoslavia, in America Centrale, nel Vicino Oriente. Ho investigato le trame nere che legavano il secessionismo padano al neonazismo negli anni’90. Ho narrato di Tangentopoli, di Social Forum Mondiali, di G7 e G8. Ho fondato riviste: il mensile Maiz nel 1997, il quotidiano on line Peacereporter con Gino Strada nel 2003, l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo, nel 2009. 

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