Gaza, la fame usata come arma

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Foto: Unsplash.com

Di Giacomo Cioni

Nella Striscia di Gaza, la crisi umanitaria ha raggiunto una soglia drammatica. Negli ultimi giorni, le Nazioni Unite hanno avvertito che oltre la metà della popolazione si trova in condizioni di “fame estrema”, con bambini e anziani che muoiono di malnutrizione o per mancanza di cure basilari. Le operazioni militari israeliane, ancora in corso soprattutto nella zona di Rafah, hanno provocato nuovi sfollamenti di massa: più di 1,9 milioni di persone (l’85% della popolazione) ha perso la casa, e intere famiglie vivono ammassate in tende improvvisate o tra le macerie. 

Secondo i dati dell’Ocha (l’Ufficio ONU per gli Affari Umanitari), l’accesso agli aiuti umanitari resta gravemente ostacolato, soprattutto per via dei continui bombardamenti, dei checkpoint bloccati e delle infrastrutture distrutte. Le immagini satellitari degli ultimi giorni mostrano campi di tende cresciuti in modo caotico, senza acqua potabile, servizi igienici o elettricità. Medici Senza Frontiere, la Mezzaluna Rossa e molte ONG locali lanciano appelli quotidiani: il sistema sanitario è al collasso, e le scorte di cibo sono quasi esaurite. 

È in questo scenario che si inseriscono le testimonianze, raccolte da operatori umanitari internazionali e locali presenti a Gaza, che descrivono con lucidità e dolore la gravità della situazione vissuta ogni giorno sul campo. Le loro parole, tradotte fedelmente, non lasciano spazio a interpretazioni: fame, paura, esaurimento, disperazione. “Ieri- racconta – Shadi, 43 anni -  ho bevuto una sola tazza d’acqua al mattino e mangiato una sola polpetta di falafel nel pomeriggio. Oggi non sono ancora riuscito a mangiare nulla.”  “Stiamo raggiungendo l’apice della carestia. Se siamo fortunati, riusciamo a mangiare un piccolo pasto al giorno, ma non è nemmeno nutriente. Lo diamo solo per far mangiare qualcosa ai bambini. I mercati sono quasi vuoti e i prezzi sono spaventosi. Se trovi la farina, costa almeno 30 dollari al chilo. Un chilo di cetrioli costa 20 dollari. Un solo pannolino costa 20 dollari, un pacco intero circa 800. Prima costava 5 dollari. Vedo sempre più persone svenire per strada. È diventata una scena normale.” 

In queste parole si riflettono i meccanismi impietosi della fame, che si accompagna all'umiliazione di non poter nemmeno garantire il minimo ai propri figli. In un'altra testimonianza emerge la disperazione di chi, per un pacco di farina, rischia la vita: “Ieri un’amica mi ha chiamato piangendo. Suo marito, stremato dalla fame, aveva deciso di andare in un punto dove si diceva arrivassero aiuti. È sparito per tre giorni, senza dare notizie. Io e mia moglie potevamo solo consolarla. Poi ci ha detto che era tornato: era stato arrestato e picchiato. Le sue condizioni erano peggiori di prima. E tutto questo solo perché voleva nutrire i suoi figli.” 

I tentativi di procurarsi cibo si scontrano con un sistema in frantumi, dove i luoghi stessi dove si spera di trovare qualcosa diventano pericolosi: “Ieri sono andato a Zikim, nel nord-ovest di Gaza, per cercare farina. È una catastrofe. È avvenuto un massacro. Sono tornato a mani vuote.” 

Anche i bambini, raccontano gli operatori, non sono risparmiati dalla tragedia della fame. L’infanzia di Gaza, già segnata da guerre e distruzioni, oggi vive nel silenzio della sottonutrizione: “Mi intristisce vedere i bambini in queste condizioni. Ti senti impotente quando un bambino di un anno e nove mesi ti dice che ha fame. Le alternative sono poche e i prezzi altissimi.” “Oggi sono andato al lavoro senza colazione, senza nemmeno un sorso d’acqua per avere un po’ di energia. Alla fine ho mangiato una sola polpetta di falafel, senza pane, solo per riuscire a muovermi.” “Ieri ho camminato nel mercato in cerca di cibo, ma sono tornato a mani vuote. Non si trova nemmeno un chicco di farina. Avere i soldi non basta più, e chi non ne ha cosa dovrebbe fare? La gente muore di fame, e vediamo gli effetti su pazienti, medici, su noi stessi.” 

Il razionamento del cibo è diventato l’unica strategia di sopravvivenza possibile. Intere famiglie si dividono porzioni minime: “Vorrei tanto trovare una mela. Non mangiamo carne, uova o pollo da mesi. L’ultimo pasto è stato due giorni fa: lenticchie divise tra sette persone. Abbiamo deciso di mangiare una volta ogni due giorni. L’ultima volta che abbiamo mangiato pane è stato tre giorni fa, quando siamo riusciti a comprare un chilo di farina a 50 dollari. Abbiamo cotto tre pagnotte per tutta la famiglia, bruciando dei vestiti per accendere il fuoco. Non abbiamo gas, zucchero, verdure. Ci manca il riso, ci mancano i piatti di una volta. Siamo esausti. A volte so dove trovare il cibo, ma è troppo pericoloso andarci. Speriamo ancora in un cessate il fuoco. Dobbiamo sopravvivere.” 

La crisi non colpisce solo lo stomaco, ma anche la mente. La fatica, l’incertezza, l’impossibilità di proteggere i propri cari diventano insopportabili: “Non mangiamo carne o frutta da oltre quattro mesi. Quando cuciniamo, non mettiamo cipolla, aglio o spezie: o sono spariti o costano troppo. Beviamo tè senza zucchero, niente dolci. Lo zucchero costa tra gli 80 e i 100 dollari al chilo.”  “Mia figlia è crollata per la fame. Il suo corpo, già debole, non ha retto. I medici hanno detto che ha infezioni gravi, calcoli renali e segni di malnutrizione. Non riesce a camminare. Fa fatica a respirare. Le hanno dato una flebo per farla rialzare. Poi mi hanno detto: ‘Serve cibo vero’. Ma dove posso trovarlo? Non c’è più niente. Lei vorrebbe studiare, ma il corpo è troppo stanco. Ha 17 anni, ma è come se ne avesse vissuti 100. Io provo a essere forte per loro, ma dentro ho paura. Paura che non passi. Siamo esausti. Siamo distrutti. Siamo affamati. Fino a quando?”

 Il senso di impotenza emerge anche tra chi lavora per raccontare, documentare, aiutare: “A essere sincero, ormai ho la sensazione che interviste, dati, appelli non servano più a nulla. Tutto è vano. Ho troppa paura per limitarmi a rispondere a domande sperando che il mondo si muova. Khalas, credo che siamo oltre tutto questo. Scusate se sono così negativo, ma il genocidio ti cambia.” 

In queste voci c’è un appello diretto al mondo, che non è solo una richiesta di aiuti, ma di ascolto e di dignità. La fame a Gaza non è più solo emergenza: è diventata arma, condizione di vita, minaccia quotidiana. E ogni giorno che passa senza un cessate il fuoco, la catastrofe umanitaria si approfondisce.

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