Ue: Greenpeace blocca palazzo Ue per chiedere fondi ai Pvs per 'Salvar€ il clima'

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A Bruxelles 350 attivisti di Greenpeace - di cui 20 italiani - hanno bloccato ieri le porte del palazzo della Commissione europea dove erano riuniti i ministri dell’Economia per l'Ecofin. "Chiediamo che vengano versati ai Paesi in via di Sviluppo 35 miliardi di euro all’anno fino al 2020, necessari per ridurre le emissioni di gas serra e far fronte agli impatti dei cambiamenti climatici. Non lasceremo che i ministri vadano via senza impegnarsi a 'Salvar€ il clima'". Gli attivisti sono arrivati ieri mattina a Bruxelles da 20 paesi e si sono incatenati ai cancelli e alle recinzioni delle entrate del palazzo. Sono stati quindi trascinati via da un ampio schieramento di agenti di polizia. Cinque sono stati portati in ospedale, uno di loro ha due costole fratturate e sono oltre trecento gli arrestati - riporta l'associazione.

"Se il Pianeta fosse stato una banca lo avrebbero già salvato. I ministri dell'Economia, infatti, stanno concedendo alle banche e ai loro manager miliardi di soldi dei contribuenti, ma non hanno ancora sborsato un singolo centesimo di euro per affrontare la crisi del clima" - ha denunciato il direttore di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio anche lui in azione a Bruxelles.

Per difendersi dai cambiamenti climatici, i Paesi in Via di Sviluppo necessitano di almeno 110 miliardi di euro all'anno dai paesi ricchi entro il 2020. I paesi devono contribuire al piano di salvataggio del clima secondo il proprio impatto sui cambiamenti climatici. "Sulla base di questo, l'Europa dovrebbe versare 35 miliardi di euro all'anno, che equivalgono ad appena 1,30 euro a settimana per ogni cittadino europeo, il prezzo di un cappuccino" - spiega Greenpeace che ha diffuso il briefing "La responsabilità finanziaria dell'Europa per un accordo globale sul clima" (in .pdf).

"I contributi finanziari che l’Europa dovrebbe versare ai Paesi in via di sviluppo non sono affatto un gesto di "carità", ma rappresentano un pagamento per il debito storico all’aumento delle emissioni di gas serra" - riporta il briefing. Complessivamente i Paesi industrializzati sono responsabili per il 64% dell’attuale crisi climatica. La quota principale spetta agli Stati Uniti, seguiti dall’Unione europea. Questi due blocchi hanno la maggiore responsabilità di aiutare le economie in via di sviluppo a sostenere i costi dei cambiamenti climatici.

Greenpeace crede tuttavia che anche i Paesi di recente industrializzazione con un reddito procapite sopra i 15.000 dollari, come ad esempio Singapore, Corea e Sud Africa, dovrebbero contribuire contestualmente a questo sforzo. Greenpeace sostiene che le risorse finanziarie dovrebbero ammontare almeno a 110 miliardi di euro l’anno, da qui al 2020, di cui 35 miliardi dovrebbero essere a carico dell’Unione Europea. Il sostegno finanziario complessivo ai Paesi in via di sviluppo dovrebbe essere così suddiviso: 40 miliardi di euro/anno per lo sviluppo di fonti rinnovabili; 30 miliardi di euro/anno per ridurre la deforestazione e i suoi effetti sulle comunità locali; 40 miliardi di euro/anno per misure di adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici.

"Inoltre la riduzione della deforestazione nei Paesi in via di sviluppo è una priorità per fronteggiare i cambiamenti climatici in quanto circa il 20% delle emissioni totali di gas serra provengono dalla perdita dei polmoni verdi del Pianeta, principalmente Amazzonia, Indonesia e Congo. Greenpeace ha sviluppato una strategia per fermare la deforestazione in Brasile entro il 2015. Simili piani dovrebbero essere sviluppati in altri Paesi e Greenpeace esorta l’Unione europea ad agire per fermare la deforestazione al 2020 globalmente (documento in .pdf).

"I Paesi dell'Ue hanno già dato in varie forme 1700 miliardi di euro alle banche: è come se ciascun cittadino europeo avesse invitato una banca a cena, una volta alla settimana per un anno, spendendo 63 euro. Ora si tratterebbe di offrire un cappuccino ai Paesi emergenti. Per agevolare la raccolta di questi fondi, Greenpeace sostiene un robusto meccanismo finanziario, che faccia acquistare ai Paesi industrializzati una quota parte dei permessi ad emettere emissioni di gas serra. "I nostri leader non sono riusciti a evitare la crisi economica. Ora non possiamo permettere che commettano lo stesso errore con la crisi del clima" - conclude la nota dell'associazione ambientalista. [GB]

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