www.unimondo.org/Guide/Economia/Debito-estero/Post-tsumani-barche-a-fondo-mentre-il-debito-cresce-56465
Post-tsumani: barche a fondo mentre il debito cresce
Debito estero
Stampa
A 6 mesi dalla catastrofe del maremoto arriva la denuncia della FAO, l'Agenzia dell'Onu per l'agricoltura che parla chiaro: sopravvissuti al maremoto, i pescatori potrebbero perdere la vita a causa della cattiva qualità delle barche che sono state date in sostituzione di quelle distrutte. Jeremy Turner, responsabile del servizio di Tecnologia della pesca dell'agenzia alimentare dell'Onu, non ha dubbi: "La qualità di alcune delle barche costruite da ong e da altre istituzioni locali ci preoccupa molto, sono in genere scadenti ma alcune davvero pericolose. Queste imbarcazioni sono un disastro annunciato e inevitabilmente causeranno la perdita di vite umane". Ma il rimedio che la FAO propone è quello di sostituire le barche esistenti "forse dopo che gli aiuti umanitari si saranno spostati altrove" precisa Turner. Ma l'assurdo che è che la FAO proponga di fare dei corsi di formazione che aggiornino nel rifornire le barche ai pescatori. "Nel lungo periodo, si deve pensare all'obbligo di una certificazione di idoneità prima di registrare le imbarcazioni e concedere l'autorizzazione a pescare" conclude Turner.
Ma mentre la Fao non ha avuto alcuno scrupolo di consegnare delle barche pericolose i paesi creditori risposero concedendo una moratoria al pagamento degli interessi sul debito della durata di un anno. "Considerando che, secondo le stime delle Nazioni Unite, saranno necessari almeno dieci anni per ricostruire i paesi devastati dallo tsunami, magari si poteva pensare di estendere la moratoria (solo sul pagamento degli interessi) ad almeno dieci anni" precisa Sabina Morandi nel suo articolo "Aiuti-tsunami, schifoso imbroglio". Inoltre aggiunge la Morandi, "la moratoria riguarderebbe solo i debiti bilaterali mentre su quelli più importanti, gestiti dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale, la vaghezza permane. Quindi un affare per le grandi istituzioni di credito internazionali che non hanno alcuna intenzione di mollare la leva finanziaria con cui possono dettare le condizioni di politica economica ai paesi colpiti, condizioni che, nel dopo catastrofe, servono sostanzialmente ad assicurarsi che la ricostruzione diventi un buon affare per le imprese occidentali.". Prendiamo il caso dell'Indonesia che per far fronte al disastro ha ricevuto due miliardi di dollari dalla Banca Mondiale e dalla Banca Asiatica di Sviluppo: l'anno scorso ha consegnato nelle tasche dei creditori oltre 7 miliardi di dollari, cifra che per la fine del 2005 arriverà a 8 miliardi.
Nessuna sorpresa quindi se, a distanza di sei mesi, stanno meglio quelle comunità che hanno deciso di fare da sole. Ad esempio l'India aveva rifiutato l'aiuto internazionale con la conseguenza diretta di essere messa alla gogna dalla stampa internazionale. Oltre ad attivare con successo le proprie reti per affrontare l'emergenza, uno sforzo completamente invisibile ai media occidentali ma senza il quale l'India non avrebbe potuto rifiutare l'ennesimo ricatto. Da parte delle reti di contadini e pescatori era partito proprio a Porto Alegre un fondo per cercare finanziamenti istituzionali a programmi di ricostruzione gestiti dalle comunità locali nel massimo della trasparenza. Da registrare la recente bocciatura da parte del Programma "Emergenza-Indonesia" dell'Ufficio di Cooperazione dell'Ambasciata d'Italia, di una richiesta di finanziamento partita da Crocevia, organizzazione nata quasi cinquant'anni fa e presente in Indonesia dal 1993, richiesta presentata insieme alla Federazione delle Organizzazioni Contadine dell'Indonesia e alle sue sedi di rappresentanza di Banda Aceh e Medan (Nord Sumatra). Motivo: le proposte di Crocevia "esulano dal quadro concettuale del Piano Operativo Generale" del "programma italiano di emergenza per la ricostruzione".
Altre fonti: La Nuova Ecologia, Liberazione