Iraq: dossier sugli interessi della ricostruzione in Iraq

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Un dossier sugli interessi della ricostruzione in Iraq: "ricostruzione" o "de-costruzione", le analisi di un gruppo di organizzazioni italiane. L'iraq è la nazione più indebitata del mondo, con un debito estero pari a circa 13-17 volte il prodotto interno lordo. Infatti mentre il reddito nazionale del 2003, calcolato dalla Banca Mondiale, oscilla tra i 12 e i 16 miliardi di dollari (nel 2000 ammontava di 32 miliardi di dollari), il debito stimato dalla campagna Jubilee Iraq potrebbe arrivare a 200 milioni di dollari, comprese le spese per le riparazioni dei danni causati dal conflitto. E' invece compreso tra i 100 e i 600 miliardi di dollari il fabbisogno stimato da esperti indipendenti per gli aiuti di emergenza e gli interventi di ricostruzione, che finora sembrano aver favorito soltanto le multinazionali e i governi vicini al presidente americano George W. Bush. E' proprio sui presunti intrecci di interessi economici e politici legati alla ricostruzione del paese che vuole fare chiarezza il dossier "Ricostruzione in Iraq: un gioco di interessi", curato della campagna "Sbilanciamoci" in collaborazione con la redazione di Altreconomia e le associazioni "Un ponte per...", Rete Lilliput, Lunaria e Mosaico di pace.

Ricostruire" o "de-costruire". Rania Masri dell'Institute for Southern Studies del North Carolina, esperta della realtà irachena, già dopo primi mesi di occupazione si chiedeva se le forze della coalizione volessero "ricostruire" l'Iraq o "de-costruirlo". Il dubbio era legittimo; ad aprile 2003, appena dopo la fine del conflitto, già 2,4 miliardi di dollari di appalti erano stati affidati direttamente ad aziende americane. Altri 18 miliardi di dollari di commesse sono stati aggiudicati nella prima metà del 2004, con una gara che di fatto escludeva imprese irachene a causa degli alti standard richiesti per parteciparvi. Così sono stati dati in gestione ad imprese estere i servizi di sicurezza e logistica per l'esercito, la ricostruzione delle infrastrutture, la redazione dei libri scolastici e persino la "creazione della democrazia" affidata al Research Triangle Institute del North Carolina dall'Usaid, agenzia del governo americano per gli aiuti allo sviluppo. Nei suoi 12 mesi di amministrazione, il governatore americano Paul Bremer, oltre ad aver siglato un protocollo per la costruzione di 14 basi militari permanenti nel paese, ha varato una serie di riforme volte a trasformare il sistema economico e sociale iracheno secondo un modello iperliberista che prevede la privatizzazione di gran parte delle imprese pubbliche. L'instabilità del dopoguerra ha finora frenato l'arrivo degli investitori stranieri, ma la compiacenza del governo provvisorio appena insediato potrebbe accelerare i tempi, spiega il dossier.

Forse, continua il dossier, nemmeno i proventi del business del petrolio basteranno per risollevare le sorti la popolazione irachena, messa in ginocchio dall'embargo entrato in vigore dopo la prima guerra del Golfo che in dieci anni ha fatto lievitare del 160 percento la mortalità infantile sotto i cinque anni. Si dice che gran parte delle riserve di greggio verranno assegnate a compagnie petrolifere dei paesi della coalizione, dopo aver annullato i contratti in essere con società russe e francesi, stipulando contratti inediti secondo la formula del "production sharing". Con questa soluzione la proprietà di quote delle riserve di greggio viene trasferita di fatto alle multinazionali, mentre in passato la politica dei "contratti di servizio" lasciava all'Iraq la proprietà del petrolio pagando alle multinazionali i servizi estrattivi. Sempre dal dossier si scopre che tra le aziende favorite c'é l'italiana Eni, cui sono stati assegnati 2,6 miliardi di barili di petrolio sorvegliati dal contingente italiano di stanza a Nassiriya. (ar)

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