www.unimondo.org/Guide/Economia/Debito-estero/G8-Scozia-non-aiuti-ma-regole-commerciali-eque-56312
G8/Scozia: non aiuti ma regole commerciali eque
Debito estero
Stampa
Si apre a Gleneagles in Scozia, l'incontro annuale fra gli otto principali paesi industrializzati della terra. Questa mattina Jubilee Scotland ha tenuto una conferenza stampa, cui hanno partecipato numerosi esponenti della rete di campagne che in tutto il mondo lavorano sul debito. "Non vogliamo una riduzione del debito cui siano collegate delle condizionalita' imposte dai creditori, che ovviamente cosi' fanno solo i loro interessi" ha affermato Charity Musamba di Jubilee Zambia. "Quello che chiadiamo ai G8 e' una vera ed incondizionata cancellazione del debito. Pretendiamo giustizia!" ha concluso la Musamba. Il problema delle condizionalita' e' stato ripreso da tutti gli speaker della conferenza stampa, che hanno evidenziato come numerosi studi di autorevoli Ong e di agenzie delle Nazioni Unite siano molto critici sul tipo di condizioni tra cui i programmi di aggiustamento strutturale della Banca Mondiale. Secondo Lidy Nacpil, coordinatrice di Jubilee South, "le condizionalita' non contribuiranno ad eliminare la poverta', bensi' faranno si' che questa aumenti".
Intanto tre attivisti della Ong inglese World Development Movement (WDM) sono saliti su una una gru alta 150 metri nei pressi della stazione dei treni di Edimburgo per esporre uno striscione in cui si chiede ai governi del G8 di smettere di cooptare le ragioni della Campagna "Make Poverty History" a loro uso e consumo, senza una reale intenzione di favorire i poveri della terra. Secondo WDM il governo Blair non e' realmente interessato alle istanze della Campagna "Make Poverty History", ma piuttosto preme per una piena liberalizzazione e privatizzazione dei mercati dei paesi in via di sviluppo. " Quello del primo ministro Blair e del ministro delle finanze Brown e' un atteggiamento ipocrita, del tutto controproducente", hanno affermato i tre attivisti, che si sono sobbarcati un lungo viaggio da Brighton, nel Sud dell'Inghilterra, per compiere quest'azione cosi' spettacolare. In base alle indicazioni che rimbalzano sui media locali ed ai numerosi incontri organizzati dalle Ong dovrebbe saltare l'accordo sul debito negoziato al G7 derlle finanze di Londra lo scorso 11 giugno e sull'ambiente sarà pressoche' impossibile raggiungere un compromesso accettabile.
Nonostante questo le organizzazioni della 'Coalizione italiana contro la povertà' e della campagna "I poveri non possono aspettare" tornano a chiedere ai leader degli otto Paesi un impegno concreto a favore della lotta alla povertà. Le numerose adesioni alla campagna - 50.000 le cartoline inviate solo dall'Italia, e 265.000 quelle inviate a Blair da cittadini dei vari Paesi europei - dimostrano la forte attenzione che c'è per chiedere a questo G8 la cancellazione del debito, una politica di aiuti più incisiva e regole commerciali più eque. A promuovere questa azione sono state in primis la Caritas italiana insieme a Volontari nel mondo - FOCSIV ed in collaborazione con le principali associazioni del mondo cattolico.
A contribuire alla riflessione e l'opinione di Roberto Meregalli, esperto economista della Rete di Lilliput che rilancia usando lo slogan "Make G8 History" anche dopo le recenti mobilitazioni. "Secondo il menù preparato da Tony Blair per questo G8, il continente africano rimane l'ingrediente fisso. Le performance musicali di questi giorni sembrano aver creato una aspettativa che i capi di governo dei paesi del G8 non possono deludere. Riusciranno a farlo? Se si guarda ai precedenti meeting la risposta non può essere che un secco no" risponde Meregalli facendo riferimento in particolare alle promesse di versamento per il Fondo Globale per la lotta all'Aids, alla malaria e alla tubercolosi. "Il problema è che per aiutare l'Africa non si tratta di destinare più fondi agli aiuti ma fare come Oxfam che chiede che alcune regole oggi applicate in economia siano cambiate. Il costo del libero commercio è ricaduto sulle fasce di popolazione più povere. Dovrebbero rinunciare all'ipocrisia degli annunci retorici spiegando all'opinione pubblica che "make poverty history" chiede a tutti di cambiare qualcosa nel proprio stile di vita. Ma state tranquilli, non lo faranno" conclude Meregalli.
E a sostegno di questa tesi arriva lo studio dell'organizzazione Christian Aid, dal titolo "Le economie del fallimento: i costi reali del libero commercio per i paesi poveri" che simula che cosa sarebbe successo a 32 paesi tra i più poveri del pianeta se non avessero liberalizzato il loro mercato interno durante gli anni '80 e '90. I risultati dimostrano che le importazioni tendono a crescere più rapidamente delle esportazioni nel processo di liberalizzazione con una conseguente perdita di reddito per i paesi più poveri del mondo. Una ricerca che afferma che senza la liberalizzazione la crescita sarebbe potuta essere più alta e la riduzione della povertà più rapida. Nel 2000, l'Africa Sub-Sahariana ha perso circa 45 dollari pro-capite a causa delle politiche di liberalizzazione. Nello stesso anno, i paesi del continente nero hanno ricevuto un equivalente di 20 dollari pro-capite in aiuti. Il saldo è negativo e spinge gli estensori del documento ad affermare che "l'Africa sta perdendo più di quanto guadagnerebbe se gli aiuti arrivassero senza condizioni stringenti per il loro ottenimento". Secondo l'Unctad, al processo di liberalizzazione è seguito un aumento dell'importazione di beni alimentari, mentre le importazioni di macchinari sono calate e questo significa non solo minore produzione ma anche scarso sviluppo della propria industria, cioè ciò che nel medio-lungo periodo determina lo sviluppo di un paese. [AT]
Altre fonti: Trade Watch, Coalizione internazionale contro la povertà, Coalizione italiana contro la povertà