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Eresie africane al Festival dell’Economia di Trento
Banca mondiale e Fondo monetario (Fmi)
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Il Festival dell’economia di Trento, giunto alla sua ottava edizione, parte con delle afro eresie. Meglio pensare che produrre. Essere che avere. Cavarsela da soli che esser aiutati. Lo afferma con forza –ma nello stesso tempo con flemma, Elísio Macamo, docente di Studi Africani presso l’Università di Basilea, in apertura di Festival.
L’autore del “l’abbecedario della nostra indipendenza – una lettura critica del discorso sullo sviluppo: il caso del Mozambico“ viene introdotto da riflessioni di Mia Couto, uno dei maggiori intellettuali in lingua portoghese, che incoraggia il nostro Macamo a puntare l’indice coloro che tramutano le idee in “slogan”, i pensieri in “direttive” ed ogni ragionamento in una macina che spreme solo quanto seminato da altri.
“Siamo ancor oggi una società molto governativa, molto dipendente da ciò che fa o non fa il governo . Ci gingilliamo tra l’incensare o il maledire che sono, alla fine, due facce della stessa svalutata moneta” provoca Couto.
Ai numeri econometrici (che rendono peraltro sterili alcune sessioni del Festival), dovremmo opporre idee feconde che rompono con il passato, altrimenti i nostri giovani non impareranno a pensare criticamente da veri intellettuali ma ad agire come meri funzionari, capi-progetto, consulenti.
Elísio Macamo apre il Festival come un’imbarcazione che viaggia sola controcorrente. Ma nessuna nazione è realmente sovrana se non produce solo beni ma soprattutto pensiero teorico. “A cosa serve parlare le nostre lingue se sappiamo dire quanto è già stato detto da altri?” Attenzione però.
Le idee non sbocciano dai progetti di “technical assistance”, dai “capacity building” e nemmeno dai “brain storming”. Nascono dal lavoro continuo, dall’impegno costante, dalla dedizione generosa per un futuro autonomo.
Cosa significa “sovranità” per un Paese africano che ha lottato per raggiungere l’indipendenza e che oggi si trova ad essere “dipendente” in tutto e per tutto dagli aiuti internazionali? Per Macamo “il Mozambico esiste solo perché l’aiuto allo sviluppo dà esistenza al Paese”. Un pensiero controcorrente, visto che il Mozambico è oggi considerato un Paese che ha buoni tassi di crescita, ha mantenuto la pace per oltre 20 anni e che segue con diligenza tutte le direttive internazionali. La prospettiva di Macamo vede l’economia politica come “una forma insidiosa” che permette agli “interessi dominanti di creare le condizioni per la propria riproduzione” e di proporre un’idea di sviluppo quantomeno discutibile, viste le fondamenta etiche su cui si basano i Paesi che si ritengono “sviluppati”.
Come riporta l’ufficio stampa della Provincia Autonoma di Trento: “La sovranità del Mozambico e di molti altri paesi definiti da altri “in via di sviluppo”, è minata dalla legittimità dell’azione esterna riconosciuta a livello internazionale. I programmi di aggiustamento strutturale, l’assalto ai programmi sociali, l’esenzione fiscale per gli investimenti stranieri sono azioni attuate in Mozambico utilizzando l’idea dello sviluppo senza prevedere discussioni né tra il governo mozambicano e i Paesi donatori né tra lo Stato e la società civile. Ciò ha portato a quella che Macamo definisce la “trivializzazione” del politico, che si evidenzia in alcuni meccanismi, come l’approvazione del bilancio dello Stato, che rende superfluo l’intervento del Parlamento e la “commercializzazione” dei problemi sociali del Paese. Cooperare significa “lavorare insieme”, tuttavia, in Mozambico significa esattamente l’opposto. I cosiddetti PVS devono infatti aderire alla visione della storia decisa da chi aiuta: non si può dunque parlare di sovranità”.
La sovranità è libertà di scegliere quale storia si vuole fare propria. E tale libertà è attualmente negata al Mozambico, costretto nelle proprie scelte e nelle proprie azioni a rimanere entro binari decisi da forze esterne. La realtà di forte dipendenza economico-politica in cui si trova Maputo impedisce di poter parlare di sovranità, un termine intriso di profondo significato in un Paese che ha lottato per raggiungere la propria indipendenza. La conquista della sovranità ha significato riscatto, diritto all’emancipazione e al progresso, ed oggi è spesso il richiamo all’aiuto allo sviluppo a negare la dignità e la sovranità a Paesi ancor definiti “in via di sviluppo”.
L’incontro ha avuto luogo presso il Centro per la Formazione alla Solidarietà Internazionale. A seguire c’è stato l’intervento al Teatro Sociale di Michael Spence, nobel per l’Economia. Giusto per rientrare nell’ortodossia.
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