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Cancun: fuori la banca mondiale dal clima
Banca mondiale e Fondo monetario (Fmi)
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Oltre 200 Ong internazionali hanno lanciato a Cancun, nel bel mezzo della sedicesima conferenza Onu sul cambiamento climatico da poco conclusasi in Messico, la campagna per chiedere che ai banchieri di Washington a capo della Banca Mondiale non siano affidati i fondi per il clima. Ad animare la richiesta una lunga marcia della società civile che dal municipio di Cancun è giunta fino al cosiddetto “chilometro zero” dove, nel 2003, un contadino coreano durante le mobilitazioni contro il Wto si è tolto la vita come estremo, drammatico atto per denunciare la condizione di sfruttamento di milioni di donne e uomini.
Un modo per ricordare un passato tragico, ma soprattutto per rivendicare la legittimità di una campagna che sta facendo notizia anche attraverso numerose azioni in diverse città del mondo, una conferenza stampa, il lancio del sito web www.worldbankoutofclimate.org e una lettera aperta ai governi presenti al vertice messicano con lo stesso urgente appello: “Fuori la Banca Mondiale dal clima”.
"Le Ong - ha sottolineato Crbm (Campagna per la Riforma della Banca Mondiale) tra i promotori dell’iniziativa insieme alla rete Giubileo Sud - ritengono che i Paesi del Nord del mondo debbano tener fede ai loro impegni per creare un fondo climatico all'interno della cornice delle Nazioni Unite destinato soprattutto agli Stati del Sud del mondo, i più colpiti, senza avere particolari responsabilità, dai cambiamenti climatici". "Un fondo - precisa Crbm - per coprire i costi delle azioni necessarie a fare fronte ai cambiamenti climatici e a trasferire le compensazioni necessarie ai paesi poveri per l'adattamento, che operi in totale trasparenza, partecipazione e garantisca un accesso diretto alle risorse economiche da parte delle realtà coinvolte".
Ora la World Bank e altre banche multilaterali di sviluppo, con l'appoggio di buona parte dei Paesi del Nord del mondo, vorrebbero entrare massicciamente nel processo, “nonostante le loro politiche, attività e strutture siano in aperta contraddizione con i principi di un’equa ed efficace finanza per lo svilupp”. In particolare, prosegue la Crbm, "la Banca mondiale da decenni impone pesanti condizionalità ai prestiti concessi ai Paesi del Sud del mondo, è dominata dagli interessi delle nazioni più ricche e delle loro multinazionali e continua a finanziare in maniera spropositata lo sfruttamento dei combustibili fossili".
Solo nel 2010, secondo un rapporto dell’Enea (.pdf), a progetti per l'estrazione di gas e petrolio sono stati destinati 6,3 miliardi di dollari, un incremento di ben il 138% rispetto allo scorso anno.”Chiediamo ai governi del mondo, e a quello italiano in particolare, - ha affermato da Cancun Elena Gerebizza della Crbm - di impegnarsi per istituire un fondo globale per il clima sotto l'autorità della Conferenza delle Parti dell'Unfcc”.
La richiesta è chiara: servono soluzioni innovative che rimettano le politiche pubbliche sul clima a forme democratiche di gestione. ”Strumenti - ha concluso Gerebizza - come una tassa sulle transazioni finanziarie, una tassa sulle emissioni di carbonio o una conversione dei sussidi all'industria estrattiva potrebbero già oggi fare la differenza”.
Critiche aspre dalle ong coinvolte nella protesta anche sulla scelta della Banca Mondiale di imporre la forma del credito, e non del dono, per finanziare delle azioni di contrasto ai cambiamenti climatici. Una scelta capace di innescare nuove spirali del debito in Paesi che non se ne sono, in fondo, mai liberati. Per Ian Rivera, del Freedom from Debt Coalition (Fdc) delle Filippine, “è oltraggioso imporre di nuovo la Banca Mondiale ai Paesi in via di sviluppo. Non vogliamo lavorare con la Banca Mondiale per accedere ai fondi sul clima, perché accrescerebbe il nostro debito, e la povertà, minando i nostri diritti umani”.
Buoni i propositi, ma per niente facile sembra la strada che dovrà percorrere la campagna chiamata a confrontarsi in primis con la Gran Bretagna, “che veicola attraverso la Banca Mondiale l'80% dei suoi fondi sul clima, il 60% dei quali destinati ai Paesi in via di sviluppo”, spiega Kirsty Wright dell'inglese the World Development Movement. Esiste quindi un’azione di pressione dei grandi donatori che, secondo le ong coinvolte, deve finire a Cancun per poter rilanciare il difficile tema della salvaguardia del clima nella cornice di una finanza pubblica, senza strumentalizzazioni del Nord del mondo, delle multinazionali e delle elite finanziarie e politiche.