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Il Kurban Bayram in Turchia: tra urbanizzazione e cambiamenti sociali
Religione
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ISTANBUL - Le strade di Istanbul sono sgombre, i mezzi pubblici semivuoti e dalle case provengono rumori di stoviglie e profumi appetitosi.
Stanno per concludersi i giorni di festa, iniziati da più di una settimana con il Kurban Bayram in Turchia, chiamato Eid Al – Adha nella maggior parte del mondo islamico: è la festa del Sacrificio, che commemora la fede di Abramo, disposto a sacrificare il figlio Ismaele ( e non Isacco, come riporta invece la Bibbia) che viene risparmiato infine con l’uccisione di un agnello.
Questa festività si presta ad essere uno strumento di osservazione delle differenze sociali, politiche e religiose di un paese che si estende per 1.660 km di lunghezza tra Europa ed Asia e contiene più di dieci minoranze etniche e religiose.
Seguendo alcune sure del Corano, l’episodio che incontra una tradizione di molto precedente al mondo islamico ( il racconto di Abramo potrebbe avere circa 5000 anni) , viene celebrato nei quattro giorni di Kurban Bayram nella maggior parte delle famiglie turche con un rituale preciso. La mattina del primo giorno, il 24 Settembre quest’anno ed in generale due mesi dopo la fine del Ramadan, gli uomini di ogni famiglia si ritrovano nelle moschee in preghiera. Poi, ha inizio l’uccisione di pecore e montoni seguendo il metodo di macellazione Halal. Alle orecchie di un lettore sensibile alla causa, tale metodo rispetta particolarmente l’animale al momento dell’uccisione. Ad esempio, quest’ultimo non deve essere spaventato. Non deve percepire la fine imminente a cui va incontro. Per questo, la raccolta di molti capi di pecore e montoni nello stesso luogo, l’intenso odore del sangue che il vento trasporta per centinaia di metri, non rispettano questa tradizione: un tempo si usava uccidere gli animali a casa, nel proprio giardino, ma l’urbanizzazione ha portato ad un cambiamento nelle abitudini e nelle leggi che prevedono luoghi appositi dove macellare e comprare la carne. Nonostante ciò, 280 persone nella sola giornata del 24 Settembre scorso si sono ferite nell’atto di macellare il proprio animale.
Gokhan, la cui famiglia vive nei sobborghi di Istanbul, ricorda la lunga preghiera pronunciata da suo nonno, prima del sacrificio. Ora i macellai biascicano qualche parola, mezzo canto e sono pronti alla bestia successiva.
Agli occhi di molti cittadini, cresciuti nella megalopoli di quasi 20 milioni di persone quale è Istanbul, oramai le celebrazioni del Bayram non sono altro che una delle tante festività, utili ad una settimana di ferie e poco più. Per alcuni, non è altro che un inutile massacro: questa insofferenza è palpabile in particolare nelle parole di chi associa la religione al governo “islamico- moderato” dell’attuale Presidente della Repubblica Tayyip Erdogan.
Riflettendo le differenze culturali e sociali tra aree urbane e rurali della Turchia, i villaggi e le piccole cittadine dell’Anatolia continentale sono invece ancora molto fedeli alla tradizione: i sorrisi sinceri e l’eccitazione per questi giorni di festa si percepiscono facilmente. Così anche nei quartieri più conservatori della città, abitati da turchi ed arabi praticanti: nel distretto di Fatih, ad esempio, è un tripudio di famiglie vestite a festa, bambini che corrono aiutando gli adulti a trasportare la carne macellata nei vicoli, venditori di pecore intenti a consigliare il migliore acquisto e greggi colorati di hennè giallo.
In questi giorni le famiglie si ritrovano per grandi pranzi e cene, come accade a Natale nella tradizione cristiana. In questo caso però, un ulteriore elemento contraddistingue il Kurban Bayram: due terzi della carne non rimarranno alla famiglia; un terzo è condiviso con amici e parenti meno benestanti e l’altro terzo donato ai poveri. C’è un detto che recita: “Se i tuoi vicini hanno ancora fame, non conti come musulmano”.
Asil e Inanc, provenienti da due piccole città nel Centro- Est della Turchia, spiegano che un tempo si andava casa per casa, nel quartiere, suonando alla porta di chi si sapeva essere più in difficoltà. Per via dell’urbanizzazione, spesso oggigiorno si donano cibo o soldi ad associazioni caritative, o alla moschea che redistribuirà i beni raccolti.
Questo gesto di condivisione è una specificazione di uno dei cinque pilastri fondamentali della religione islamica: la carità ( Fitre). In questi giorni nella rete ci sono appelli per dedicare le donazioni alle famiglie curde, colpite dagli intensi scontri delle ultime settimane tra il governo turco e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) nel Sud-Est del paese. Non sembra molto probabile che ciò accadrà. Can, che vive ad Hakkari, dove la Turchia incontra Iraq ed Iran, racconta che negli ultimi anni le persone hanno perso lo spirito per festeggiare il Bayram: lo si fa meccanicamente, ma poco o nulla dell’entusiasmo e della fede sono rimasti in questi giorni dove l’ottimismo sembra impossibile. Il coprifuoco imposto dalle autorità turche è finito una dieci giorni fa ed - anche nella settimana di vacanza prevista per questa festività- elettricità e linea telefonica funzionavano a tratti, rendendo difficile l’organizzazione di ogni tipo di incontro con amici e familiari.
Il Kurban Bayram, una tradizione di secoli, si presta così ad essere mezzo per l’osservazione delle differenze sociali, politiche e religiose del paese più variegato del Mediterraneo.
Sofia Verza