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Vertice Onu sull’alimentazione: l’allarme della società civile
Popoli minacciati
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Foto: Un.org
“Nonostante l’alimentazione riguardi la salute di tutta la popolazione del pianeta e le aziende agricole familiari e di piccola scala producano oltre il 70% del cibo che consumiamo, sono poche grandi imprese a dettare le politiche in campo agricolo e a stabilire cosa dovrà essere prodotto, come e quanto dovrà costare il cibo”, ha dichiarato Vandana Shiva che ha preso formalmente posizione contro il prossimo vertice Vertice dell’Onu sui Sistemi Alimentari indetto dal Segretario Generale Antonio Guterres e previsto a New York il prossimo settembre. Un Flash-Mob nella capitale internazionale del cibo, Roma, si terrà domani davanti alla sede della FAO dalle ore 11.00 alle 13.00 perché, se cresce la critica al Vertice ONU sui Sistemi Alimentari di settembre, la protesta si estende anche al prevertice a Roma alla Fao dal 26 al 28 luglio. Uno spazio, dicono le organizzazioni della società civile, che in realtà ha abdicato al suo ruolo di essere la voce di un mondo contadino escluso dal grande business sempre più in mano alle multinazionali dell’agroindustria. Un ruolo che un comunicato di Aoi (Associazione Ong italiane) definisce oggi in una nota “pervasivo e dominante”.
Sono ormai circa un migliaio le organizzazioni internazionali e regionali della società civile, le associazioni di piccoli produttori e allevatori, le comunità indigene, gli esperti internazionali, oltre a rappresentanti del mondo scientifico ed accademico che si preparano dunque a una Contro-Mobilitazione virtuale e in presenza per formulare domande competenti sul futuro del cibo e per esprimere il loro dissenso in occasione del pre-Vertice sui Sistemi Alimentari del 26- 28 luglio (il programma delle tre giornate di protesta si trova qui).
“La chiave per il diritto al cibo e le diete sane e sostenibili risiede nel ricollegare l’atto di consumo con quello della produzione, riaffermando l’importanza degli alimenti freschi stagionali e poco processati, attraverso catene corte, centralità della produzione locale contadina e dei rispettivi territori. Purtroppo, venti anni dopo Genova, mega-attori economici continuano a ricevere ingenti finanziamenti pubblici e numerosi incentivi fiscali e normativi nel nome dello sviluppo sostenibile. E’ il paradosso assoluto del greenwashing: ma la versione rassicurante di un nuovo capitalismo green non convince nessuno”, commenta Stefano Prato, direttore di Society for International Development e uno dei facilitatori del Meccanismo della Società Civile e dei Popoli Indigeni (CSM).
Avanza l’agro business
Il CSM è l’entità istituzionale in seno alla FAO che dal 2009 partecipa ai negoziati sulla sicurezza alimentare e sul diritto al cibo, portando la voce e le ragioni di chi denuncia nei rispettivi Paesi la privatizzazione delle risorse naturali, la deforestazione e l’inquinamento ambientale legato all’uso dei pesticidi e fertilizzati e allo sfruttamento del lavoro. Il CSM, dopo aver più volte suonato l’allarme con lettere al Segretario Generale dell’ONU e alla leadership del Vertice che non hanno ottenuto risposta, ha deciso di chiamarsi fuori da questa iniziativa dell’ONU. “Oltre alla responsabilità sulla perdita drammatica di biodiversità, questi sistemi alimentari sono responsabili di un’enorme sottrazione di terra alle comunità contadine ed ai popoli indigeni che espulsi o costretti a migrare, abbandonano le loro terre” sostiene Ivana Borsotto, Presidente della Federazione degli Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario (FOCSIV), “l’accaparramento delle terre ha raggiunto i 93 milioni di ettari: è urgente regolare l’accesso alla terra in modo da tutelare i diritti dei contadini e dei popoli indigeni. Di questo dovrebbe occuparsi un vero vertice delle Nazioni Unite”...