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Lo Stato Palestinese esiste per l’Italia?
Popoli minacciati
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Indignazione e perplessità hanno accompagnato il voto dello scorso venerdì sul riconoscimento italiano dello Stato palestinese. Diversi comunicati stampa e post on line decretano che “si è consumata una figuraccia all’italiana”. L’ennesima probabilmente, grazie ai consueti tentativi della politica italiana di oggi di mediare allo stremo senza adottare decisioni, di reinterpretare e di introdurre continue eccezioni alla normativa in vigore. Persino nell’adozione di un voto alla Camera sul riconoscimento della Palestina quale Stato, che chiarisca la posizione parlamentare al governo e alla comunità internazionale, è stata prediletta una strada ambigua, che pare costruita appositamente a conferma dello stereotipo del politico italiano. Il 27 febbraio nell’aula di Montecitorio 300 deputati hanno votato a favore e adottato la mozione del Partito Democratico che prevede di “continuare a sostenere in ogni sede l’obiettivo della costituzione di uno Stato Palestinese che conviva in pace, sicurezza e prosperità accanto allo Stato di Israele, sulla base del reciproco riconoscimento” e, pochi minuti dopo, 237 deputati hanno approvato anche la successiva mozione di Area popolare e Nuovo Centrodestra (e su cui anche il governo aveva dato parere favorevole) che subordina il riconoscimento dello Stato Palestinese ai negoziati bilaterali, trattative a cui l’Italia non mancherà di contribuire. Un doppio voto dunque che, in conclusione, esclude il riconoscimento della Palestina adottato in prima istanza, condizionandolo al conseguimento della pace tra israeliani e palestinesi. E se a definire “ridicola” la seduta di Montecitorio sono stati anche diversi deputati della stessa maggioranza, di scarsa comprensione appare questo teatrino per le autorità israeliane e palestinesi, che in un primo momento avevano plaudito entrambe per il voto italiano, percepito rispettivamente a proprio favore.
Al di là della forma istrionica in cui è stata espressa, la posizione italiana non appare però affatto anomala. Sulla cosiddetta questione mediorientale, i governi italiani dall’inizio degli anni Settanta, o meglio a seguito della Guerra dei Sei Giorni del 1967 e soprattutto di quella dello Yom Kippur con il suo shock petrolifero del 1973, hanno adottato una politica di equidistanza dalle parti, perseguendo l’arduo tentativo di coniugare la comprensione per il diritto all’esistenza dello Stato di Israele con il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. Pur nella consapevolezza che esiste una diretta correlazione tra la soluzione della questione palestinese e quella del conflitto arabo-israeliano, l’Italia non ha mai superato quell’equilibrio volutamente ricercato per allontanare il rischio di inimicarsi una delle parti. Un’eccezione è stato il voto della delegazione italiana a favore della risoluzione del 29 novembre 2012 dell’Assemblea Generale dell’ONU, che ha riconosciuto la Palestina come Stato non membro osservatore permanente. Le accuse di incoerenza della posizione italiana possono dunque fare riferimento solo a questo voto isolato, seppur molto importante.
La prassi è invece ben diversa. Nel novembre 1974 sempre in sede ONU, a dispetto di aperture ufficiose ai vari portavoce dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) che operavano anche in Italia e in un clima di timori effettivi di attacchi terroristici e di crisi energetica contro l’Occidente decretata dai Paesi arabi, la delegazione italiana si astenne sul riconoscimento dell’OLP quale rappresentante del popolo palestinese, insieme a tutti gli altri Paesi dell’allora CEE, e nella stessa sessione votò contro l’attribuzione alla stessa Organizzazione dello status di osservatore permanente all’Onu e nelle sue Agenzie Specializzate. Come di consueto, la ragione dei voti stava nell’assenza nelle risoluzioni di chiari riferimenti alla legittima esistenza dello Stato di Israele e dunque a timori connessi alla minaccia del terrorismo palestinese nei confronti di Tel Aviv. In anni più vicini, il governo italiano si astenne nel voto del 31 ottobre 2011 con cui la Conferenza Generale dell’UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, ha ammesso la Palestina tra i suoi Stati membri. E ancora alcuna posizione governativa è stata espressa dinanzi alla mozione adottata simbolicamente dal Parlamento Europeo lo scorso 17 dicembre 2014 che riconosce “in linea di principio” lo Stato della Palestina sulla base dei confini del 1967, secondo la soluzione di due Stati con Gerusalemme capitale, ed esorta la ripresa dei colloqui di pace. Poco prima del voto, la Corte di Giustizia Europea aveva deciso di annullare l’iscrizione di Hamas dalla lista nera europea delle organizzazioni terroriste. Due azioni che individuano nell’ufficiale esistenza della Palestina come entità statale la strada promossa dall’Europa per favorire una soluzione della questione israelo-palestinese, e interpretate invece da altri, in primis, dagli Stati Uniti, come un ostacolo al dialogo bilaterale.
Il voto europeo ha emulato quello dei parlamenti di Francia, Spagna, Portogallo e Irlanda su risoluzioni o mozioni a favore dell’esistenza dello Stato Palestinese, a cui però non sono ancora seguiti i riconoscimenti ufficiali da parte dei rispettivi governi. La Palestina è riconosciuta da quasi due terzi degli Stati membri delle Nazioni Unite: da gran parte degli Stati dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa orientale. La Svezia è il solo Paese dell’Europa occidentale ad aver proceduto al riconoscimento lo scorso 30 ottobre, a fronte del ritiro dell’ambasciatore israeliano da Stoccolma in segno di protesta.
In questo panorama, la posizione del Parlamento italiano appare del tutto scialba. Lo status di Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza di Federica Mogherini, e il semestre di Presidenza europea nella seconda metà del 2014 avrebbero potuto assegnare all’Italia un ruolo da protagonista nella promozione dei negoziati per dare soluzione all’annosa questione israelo-palestinese. Ciò non è avvenuto né purtroppo sta avvenendo.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.