La libertà di stampa in Albania: fra intimidazioni e soprusi

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Alice Taylor  - Foto indicata da A. Taylor su Twitter.com

Alice Taylor è una giornalista investigativa indipendente inglese che vive e lavora in Albania.  È redattrice per i portali Exit.al e Euractiv.com ed è associata all’International Press Institute (IPI) e alla Coalition for Women in Journalism (CFWIJ). Principalmente, si occupa di corruzione, crimini finanziari, diritti umani, uguaglianza di genere e libertà di stampa.

Ci racconti un po’ della tua carriera giornalistica? 

Prima di venire qui, ho vissuto a Malta per molto tempo. È lì che ho iniziato a scrivere, ma poi avevo deciso di lasciare perché una mia collega, Daphne Caruana Galizia, è stata uccisa. A Malta avevo lavorato come consulente per uno studio legale, nel settore marketing. Dapprima, scrivevo news per il settore legale e poi articoli per un giornale locale. Così ho cominciato a firmare alcuni miei pezzi e alla fine i miei editoriali. Per un periodo, ho lavorato per lo stesso giornale di Daphne, ma seguivo il suo lavoro da prima. Quando sono diventata redattrice, lei è stata il mio faro, un modello da cui trarre ispirazione: andava sempre avanti, nonostante i soprusi che subiva. E anch’io ho subito attacchi, perché scrivevo di temi controversi come diritti umani, migrazione, aborto. Quando è stata uccisa, mi è crollato tutto addosso e avevo deciso di mollare il giornalismo. Invece sono tornata a scrivere.  

Come sei arrivata in Albania? 

Inizialmente, ero venuta per una vacanza di pochi giorni, che sono diventati settimane e così via. In quel periodo mi sono fatta degli amici e mi sono innamorata di questo posto. 

Però qui in Albania hai dovuto affrontare una situazione difficile. Ce la racconti? 

Nel 2019, alcuni media avevano pubblicato dei pezzi che suggerivano che il governo fosse stato coinvolto nella compravendita di voti alle elezioni. Da lì sono iniziate le proteste chiamate dall’opposizione. 

I media filogovernativi rappresentavano le proteste come il tentativo da parte dell’opposizione di distruggere Tirana. Dicevano anche che i manifestanti stavano picchiando gli agenti di polizia: il ché non era corretto. 

Certo, i manifestanti erano arrivati ad attaccare e vandalizzare il Palazzo del governo dove c’è l’ufficio del Primo Ministro. D’altro canto, anche la polizia stava aggredendo i manifestanti; e anche i giornalisti sono stati picchiati e feriti. 

I media internazionali erano interessati alla situazione e a me sono stati chiesti dei commenti. Uno di questi era il giornale Russia Today: ho chiesto al mio editor se avessi dovuto dare solo una dichiarazione onesta sui fatti, o se avessimo dovuto dare informazioni prese altrove, col rischio che queste fossero scorrette. Abbiamo concordato di parlare con loro, a condizione che quanto dichiarato fosse strettamente attinente ai fatti. 

E così ho fatto. Ma questo non solo con il Russia Today: ho parlato con il Guardian, ad esempio, e anche alcuni media francesi e turchi. 

In pochi giorni, i media filogovernativi hanno cominciato a scrivere che io ero una spia russa, un’agente al servizio del Cremlino e, contemporaneamente, al servizio dell’opposizione albanese. Secondo loro, io sarei stata impegnata a provocare instabilità politica in Albania. Dicevano che ero una nemica dello Stato e del popolo albanese e che il mio compagno di allora era un criminale ricercato dalla polizia. Non solo: hanno pubblicato foto mie e dei miei amici. 

Quando tutto questo è successo io ero al sesto mese di gravidanza. È stata davvero dura. 

Alla fine, il mio permesso di soggiorno – che era appena stato approvato – è stato revocato. In quel momento stavo aspettando di raccogliere gli ultimi documenti, ma ero ricoverata in ospedale. Invece, mi hanno contattata, dicendomi che non sarei più potuta rimanere in Albania. Per due settimane sono rimasta senza sapere i perché della revoca. Nel frattempo, loro parlavano con i media, passando le mie informazioni personali e dichiarando che ero una minaccia per la sicurezza, che avrei dovuto fare il permesso prima e altre ragioni che a me non erano state comunicate. A me non era stato dato alcun documento ufficiale con i motivi della revoca. Quindi, non potevo nemmeno adire le vie legali. 

Sei riuscita a scoprire chi aveva passato le tue informazioni e le foto ai media? 

Non esattamente. Quello che so di certo è che tutto questo è stato ordinato dall’alto, da molto in alto. Queste cose sono state pubblicate da tutti i media estremamente filogovernativi, o comunque che hanno collegamenti con il premier (uno dei quali si pensa sia segretamente posseduto dal suo apparato comunicativo).

Come è andata a finire? 

Ho trascinato la Polizia di Stato, la Polizia dell’Immigrazione, il Ministro e il Ministero dell’Interno davanti alla Corte. Ho vinto la causa e ho riottenuto il mio permesso. Ho fatto richiesta a tutti i media di togliere le mie informazioni e di pubblicare delle ritrattazioni. Quelli che non hanno acconsentito sono stati citati per diffamazione: finora ho vinto tre cause su quattro; la quarta è ancora in corso. 

Da allora mi hanno lasciata in pace. Credo non si aspettassero che avrei combattuto. Ho coinvolto Reporters Without Borders e altre organizzazioni internazionali, l’Ambasciata e il Consiglio d’Europa. Li ho contattati perché sapevo che non avrei potuto sostenere la battaglia da sola. 

È stato difficile anche alla luce delle mie condizioni di salute. Sono stata male e il forte stress ha provocato molti problemi durante la gravidanza. Ogni tanto ho ancora qualche attacco d’ansia: in quel periodo avevo dovuto chiudere temporaneamente gli account social, perché avevo ricevuto attacchi e minacce. Per la mia sicurezza personale, sono dovuta rimanere chiusa in casa o avere qualcuno che mi scortasse quando uscivo, C’era gente che mi urlava in strada. E un episodio simile è successo anche due mesi fa.  

Pensi che, nonostante la dittatura comunista sia finita da trent’anni, ci siano degli elementi nell’ambito dei media che non sono ancora maturati? 

Sì, e non solo nei media. Ritengo che nell’intera società ci siano elementi che non sono stati metabolizzati. La società è ancora traumatizzata da quello che è successo. Certo, in trent’anni molto è stato raggiunto, ma molto altro no. E secondo me questo ha avuto, e ha, un grande impatto sulle persone, persino sulle giovani generazioni, perché stanno ereditando il passato dai loro genitori. 

La gente non si fida del governo, le persone non si fidano le une delle altre e sono più esposte alle fake news. La società e la politica sono estremamente polarizzate. 

I media vengono usati come arma dai proprietari per raggiungere i loro scopi. La maggior parte dei proprietari dei media sono coinvolti in altri tipi di business: banche, edilizia, ospedali. Insomma, vogliono i soldi statali e usano i loro mezzi di comunicazione per ottenerli. 

È davvero una situazione complessa qui e sono convinta che la società albanese non sarà capace di andare oltre finché non ci sarà una seria presa di coscienza del passato.  

I politici albanesi utilizzano un doppio standard comunicativo? 

Assolutamente. Il modo in cui Edi Rama o Erion Veliaj [sindaco di Tirana] – giusto per citare degli esempi – parlano in albanese rispetto a come parlano in inglese è completamente diverso. 

Qualche settimana fa, il premier Rama si è lasciato andare durante una conferenza in inglese, comparando i media online alla propaganda nazista. Ma questa è stata la prima volta che ha parlato dei media in inglese come è solito fare in albanese. E dire che si trattava di una conferenza sulla libertà dei media. 

Invece, Erion Veliaj è l’emblema di questo atteggiamento. Qualche giorno fa, in un contesto dove c’erano anche dei rappresentanti internazionali, ha insultato un giornalista in albanese dicendogli che era un “senza cervello” e di stare zitto. Un altro esempio: nel quartiere Blloku di Tirana è stata copiata un’opera dell’artista Le Clet senza chiedergli il permesso. Così ho contattato il sindaco per avere delle spiegazioni. La sua risposta? Mi ha detto che non sono una giornalista, che sono al servizio della Russia e dei fascisti. E che mi dovevo vergognare.  

Qual è la situazione vissuta dai giornalisti, in particolare da quelli indipendenti? 

Il problema del giornalismo ruota attorno alla mancanza di fondi. Dal punto di vista legislativo, ci sono leggi che dovrebbero proteggere i giornalisti, ma non vengono applicate. Comunque, ci sarebbe bisogno di più leggi e di leggi più severe. 

La conseguenza è che i giornalisti diventano ostaggi dei proprietari dei media per cui lavorano. Sei costretto ad accettare il modo in cui vieni trattato, scrivere cose senza senso solo perché ti viene ordinato. Perché devi sopravvivere. 

Nel caso dei media indipendenti, trovare soldi è ancora più difficile: il “sistema di donazioni online” qui non funziona perché la gente non ama usare le carte di credito, e comunque non hanno molti soldi da spendere. Credo che se venisse regolamentato il sistema lavorativo, ci sarebbero dei modi migliori per finanziare i media. Allora, problematiche come l’etica professionale, le fake-news, le minacce dovrebbero mitigarsi. 

Qual è la percezione del giornalismo? La gente si fida dei giornalisti? 

Credo che la gente si fidi molto dei giornalisti che loro pensano raccontino la verità. Su internet si leggono cose come «non dovete fidarvi di nessun portale, eccetto che questo», o «non possiamo fidarci di nessun giornalista, eccetto quello». Ho l’impressione che le persone si fidino di più delle televisioni, perché sono un po’ meno sensazionaliste dei portali online. 

Però voglio anche evidenziare che ci sono alcuni portali albanesi davvero buoni e che stanno facendo un ottimo lavoro. Non parlo solo di Exit.al, ma anche Factoje.alReporter.alCitizens-Channel.comGogo.al.

Ce ne sono, ma è dura. 

Le associazioni internazionali (International Press InstituteReporters Without BordersCoalition for Women in Journalism) potrebbero aiutare i giornalisti in Albania a preservare la loro indipendenza e la loro sicurezza? 

Quando sono stata attaccata nel 2019, ho ricevuto il loro supporto. Anche solo sapere che c’erano persone al mio fianco che stavano monitorando la situazione e avere qualcuno con cui poter parlare è stato d’aiuto. Io ho anche ricevuto aiuto con le questioni legali. Penso che i giornalisti qui si sentano soli, perché la polizia non è utile o probabilmente non è interessata ad esserlo. Inoltre, l’ambiente dei media è estremamente competitivo. 

Ma c’è un network di risorse là fuori: se ricevi intimidazioni e diffamazioni, la solidarietà è importante. Prima qui non ce n’era molta, ma adesso ce n’è di più. 

E questa è una buona notizia.

Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.

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