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Iran, al via l’era di Ebrahim Raisi
Popoli minacciati
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Foto: Unsplash.com
Ebrahim Raisi sarà da agosto il nuovo presidente della Repubblica Islamica d’Iran. Per capire come potrebbe cambiare nella politica interna ed internazionale abbiamo rivolto alcune domande a Marina Forti, giornalista e scrittrice e profonda conoscitrice dell’Iran.
Come è arrivato al potere Ebrahim Raisi?
Ebrahim Raisi non ha praticamente avuto concorrenti e questo è già il segnale che fosse il favorito del Regime. In Iran il processo di selezione è sempre in capo al Consiglio dei guardiani, che controlla le credenziali dei candidati e che a queste elezioni aveva eliminato tutti concorrenti di peso. Non solo i riformisti, ma anche conservatori.
Questo è senza dubbio il segnale che le elezioni sono state preparate. Il veto sui candidati c’è sempre stato ma in passato c’è stata competizione tra le varie correnti politiche e spesso si sono avute sorprese, come ad esempio con l’elezione di Mohammad Khatami nel 1997, che vinse a discapito del favorito del Regime.
Qual è la ragione di questa chiusura del Consiglio dei Guardiani?
Molti hanno considerato questa più che una elezione una nomina. Si tratta di un segnale di tensione e secondo alcuni anche di debolezza del regime.
Io credo che tutto questo sia una conseguenza dell’uscita di Trump dall’accordo sul nucleare del 2015.
Il mandato esplicito nell’elezione di Rohani era quello di aprire le trattative con gli Stati Uniti e le altre potenze per fare un accordo sul nucleare che permettesse di togliere le sanzioni e far così ripartire l’economia. Il piano internazionale e quello interno sono sempre molto collegati in Iran.
Questo mandato è stato rispettato. L’accordo sul nucleare è stato storico e una delle cose più notevoli degli ultimi anni dal punto di vista diplomatico. Con l’uscita degli Usa dell’accordo e con le nuove sanzioni unilaterali si è però bloccato tutto. Le sanzioni hanno paralizzato l’economia iraniana, l’export di petrolio e le transazioni economiche in dollari che sono la quasi totalità.
La guerra economica ha provocato una crisi molto grave, anche se non è avvenuto quello che Trump si aspettava, ovvero l’implosione del Regime. Anzi, è successo l’esatto contrario. La mossa dell’ex presidente ha fatto sì che si rafforzassero le correnti più oltranziste e che passasse il messaggio che si dovesse difendere il regime a qualsiasi costo.
Già nelle elezioni parlamentari del 2020, infatti, gli ultra conservatori hanno ottenuto la maggioranza assoluta. Trump ha fatto grande favore a regime e alle Guardie della Rivoluzione. Inoltre, con la dipartita delle imprese occidentali, fuggite poco prima delle sanzioni, le aziende che fanno capo alle Guardie hanno potuto riempire i vuoti lasciati e hanno ripreso i vecchi contratti.
Ebrahim Raisi è quindi la figura che serviva in questo momento al regime.
Lo possiamo definire il protetto di Ali Khamenei. Ha origini umili, viene da una famiglia religiosa ed è stato il discepolo del leader supremo, oltre che un giovane della rivoluzione. Negli anni ha fatto carriera giudiziaria fino ad arrivare ad essere capo della Magistratura. In Iran la Magistratura è sempre stata considerata come roccaforte nelle posizioni più ortodosse, il cane da guardia per la sopravvivenza regime. Il nuovo presidente dispone di un forte sostegno sia da parte del regime che dei poteri forti.
Nel 1988 Raisi ha fatto parte del gruppo speciale composto da quattro magistrati che aveva il compito di epurare i detenuti politici. Il cosiddetto comitato della morte ha in pochi mesi condannato a morte, con sentenze sommarie, migliaia di persone accusate di essere traditori dello Stato. Una delle pagine più nere nella storia del Paese.
Ci sarà secondo lei un cambio di passo nella politica estera e in particolare nell’eventuale ripresa dell’accordo sul nucleare?