Haiti, il Paese devastato dal terremoto in mano alle gang

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Foto: Unsplash.com

Non ha pace Haiti, il Paese più povero delle Americhe. Dopo il terremoto del 2010 che fece oltre 220mila morti, la successiva epidemia di colera che ne uccise altri 10mila e l’omicidio efferato del presidente Jovenel Moïse del 7 luglio scorso, ecco che è arrivato adesso un nuovo sisma ad infierire su una popolazione già allo stremo. Al momento il terremoto di 7,2 gradi della scala Richter ha mietuto oltre 2.200 vittime, ferendo 12mila persone e distruggendo più di 60mila abitazioni. 30 mila i senzatetto mentre, per l’Unicef, 1 milione e 200 mila persone sono state danneggiate da questo terremoto. Colpita soprattutto la parte meridionale dell’isola, luogo dell’epicentro. Qui il cibo scarseggia, gli ospedali sono al collasso e mancano medicine e attrezzature mediche. I sopravvissuti deambulano come fantasmi per le vie disastrate di Les Cayes, la terza città del paese e la più colpita. Purtroppo ogni giorno che passa il bilancio si aggrava ma, soprattutto, la gente è alla disperazione perché con la comunità internazionale tutta concentrata sull’Afghanistan, gli aiuti arrivano con il contagocce. Anche se l’ONU ha già stanziato otto milioni di dollari di aiuti ed il segretario generale Antonio Guterres ha rassicurato: “Non siete soli, siamo dalla vostra parte in questi tempi difficili. Le Nazioni Unite continueranno ad assistere con aiuto umanitario, medicine, acqua potabile e molto altro”. Staremo a vedere ma il problema è che sino a domenica scorsa, quando si tentava la distribuzione degli aiuti già arrivati, le gang assaltavano i camion, rubavano medicinali, cibo ed acqua. La scorsa settimana hanno perfino sequestrato due medici chirurgi e un ortopedico, il personale sanitario di cui c’è oggi più bisogno ad Haiti.

Il problema di Haiti è che la situazione era già critica ben prima dell’ultimo sisma per la violenza delle gang che gestiscono quella che la locale Conferenza episcopale ha definito “la dittatura dei sequestri” che terrorizza la popolazione. Non a caso lo scorso 11 aprile, furono rapiti nella periferia della capitale Port-ai-Prince 5 preti, 2 suore e 3 familiari di un altro sacerdote, da parte di una delle tante gang che hanno fatto proprio dell’industria del sequestro sull’isola caraibica un business. Stessa sorte toccata al 75enne imprenditore italiano Giovanni Calì. Tutti fortunatamente liberati, non è chiaro se dietro pagamento di riscatto, ma ogni mese sull’isola sono centinaia i rapimenti, Con un’inflazione alle stelle e una pandemia che sta mettendo in crisi il mondo, la situazione ad Haiti era dunque “sull’orlo dell’esplosione” già lo scorso febbraio secondo la locale Conferenza episcopale, che definiva il Paese “totalmente inabitabile” ben prima del terremoto del 14 agosto scorso. Figurarsi adesso.

Per cercare di recuperare un po’ di immagine tra la popolazione esasperata le principali gang armate da domenica 22 agosto hanno annunciato una tregua. Obiettivo, consentire la distribuzione degli aiuti. Promotore dell'iniziativa Jimmy Cherizier, alias Barbecue (il soprannome è dovuto al fatto che è solito letteralmente bruciare i suoi nemici), il leader del "G9 an Fanmi e Alye" (il Gruppo dei 9 in famiglia e alleanza), la più importante federazione di bande armate del Paese caraibico. La tregua è stata annunciata in un video lo scorso 22 agosto e anche se le autorità non hanno confermato l'esistenza dell’accordo, la speranza è che ci sia del vero, almeno per il bene degli haitiani. "Congratulazioni a noi perché in questo momento abbiamo deciso di fare la pace", ha detto Barbecue nel video (qui l'audio registrato in una trasmissione haitiana, Barbecue parla in creolo), ringraziando le cosche che controllano il quartiere di Martissant, periferia della capitale Port-au-Prince, per avere lasciato passare i convogli di aiuti umanitari nelle ultime ore.

Secondo le ong presenti in loco sono 650.000 le persone che oggi hanno bisogno di assistenza urgente...

L'articolo di Paolo Manco segue su Vita.it

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