Coronavirus: l’America Latina è la regione più colpita

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Foto: Unsplash.com

Mentre il mondo si appresta a timbrare la cifra di 16,5 milioni di casi confermati di Covid-19, l'America Latina diventa la regione più colpita dalla pandemia a livello globale, con il 26,8% dei casi. I paesi si trovano ad affrontare nuove ondate di virus, in un flusso espansionistico che pare non avere tregua; i governi valutano la possibilità di nuove chiusure nella aree più interessate, e la prospettiva di una crisi molto più prolungata rispetto alle aspettative iniziali prende una forma tanto tangibile quanto inquietante. In vari paesi l’emergenza sanitaria ha acuito una crisi economica, politica e sociale già in atto, e trascinerà con sé una recessione devastante, ancora difficile da prevedere, vista l’incertezza sull’evoluzione della pandemia. Una considerazione su tutte, in molte metropoli latine lo schema di diffusione sembra ricorrente: sono generalmente “risparmiati” i quartieri più ricchi e con minor densità demografica, mentre i contagi pullulano nei quartieri più popolari, maggiormente predisposti all’economia informale ed alle agglomerazioni di persone.

In Brasile si sono compiuti i 5 mesi dall’annuncio del primo caso di coronavirus il 25 di febbraio, in un contesto che ha ormai raggiunto i quasi 2,5 milioni di casi e le oltre 87 mila morti accertate. Il Presidente Bolsonaro prosegue la sua lotta negazionista contro l’uso della mascherina, anche dopo essere risultato positivo il 7 luglio. Non ha fatto eccezione nemmeno pochi giorni fa, quando ha rassicurato il suo pubblico di non avere più il virus. Il Messico riporta più di 390 mila casi e 44 mila deceduti a causa della pandemia, ma la curva epidemiologica non da segnali di un picco definitivo. Ciò nonostante, a Città del Messico come in altre grandi urbanizzazioni, il semaforo è passato da rosso a giallo, inaugurando una fase di ritorno alla normalità, dove negozi, stabilimenti commerciali, centri religiosi hanno riaperto i battenti. 

In Perù la città di Arequipa si è convertita nell’attuale epicentro nazionale per Covid-19. Lo stesso Presidente Vizcarra in una visita alla città ha ammesso la mancanza di risorse necessarie per affrontare la pandemia, tra prove rapide, forniture di medicinali e unità di protezione personale, in un paese che ha oltrepassato i 380 mila casi (con 18,2 mila morti) su una popolazione di appena 32 milioni di abitanti, e la curva dei contagi non cambia direzione. Il Cile è ancora immobilizzato da una quarantena infinita, dove il virus ha provocato 346 mila casi e 9 mila morti, anche se iniziano i primi tentativi di transizione verso lo “sconfinamento”.

Malgrado una dimensione demografica limitata, Perù e Cile si collocano rispettivamente al settimo e ottavo posto a livello mondiale per numero di contagi confermati, in una condizione tutt’altro che controllata. D’altro canto, i dati che provengono da Colombia, Argentina e Bolivia non sono confortanti, dimostrando curve epidemiologiche che si sono impennate in maniera spaventosa durante il mese di luglio. In Bolivia pochi giorni fa si è raggiunta la cifra record di 1.148 nuovi casi in una sola giornata, segno del fatto che un enorme massa di contagio rimane inevasa e inespressa a causa della complessità di applicare i test. Ha fatto scalpore la notizia di vari boliviani che hanno utilizzato il diossido di cloro come cura per il Covid-19, un trattamento pericoloso e senza alcun avvallo scientifico.

Appurata l’incapacità di arrestare la diffusione, anche legata all’impossibilità di un blocco vero e proprio delle attività economiche di sussistenza, l’atmosfera che si respira in questi paesi è quella di un’inevitabile accettazione dell’afflusso infettivo all’interno delle società, tamponando il possibile e cercando di rinforzare un sistema sanitario in ogni caso insufficiente. All’interno di questa trama già frustrante, non smettono di impensierire i problemi atavici delle culture latine. In Ecuador, anche in un momento di estrema criticità, non si è riusciti a evitare il proliferarsi di una corruzione spudorata e nociva. Una piaga inflessibile, capace di attraversare tutti gli strati della società, dalle istituzioni dello Stato al sistema imprenditoriale, che ha già seminato tante, troppe vittime, dove notoriamente le vittime appartengono alle classi più povere della popolazione. Si parla di un altro virus, diverso dal Covid-19, ma altrettanto letale per le sorti di una democrazia, e l’Ecuador, per l’ennesima volta, ne è stato travolto. Il tutto è successo nel pieno della pandemia: ormai entrati nel quinto mese di quarantena e coprifuochi differenziati, i contagi sono in perenne aumento, la capitale Quito è da un mese il nuovo epicentro del paese, gli ospedali sono letteralmente al collasso e le persone perdono la vita in strada. 

Cosí, nelle ultime settimane, sono emersi gravissimi scandali di corruzione e peculato legati alla gestione del Covid-19 e in particolare ai sovrapprezzi imposti all’acquisto del materiale necessario per aggredire l’emergenza. Netta la condanna della Conferenza Episcopale Ecuadoriana in una lettera aperta alla Presidenza del Consiglio, cosí come del Gruppo Sociale FEPP – Fondo Ecuatoriano Populorum Progressio – che ha fatto circolare un comunicato stampa di denuncia dal titolo emblematico “Adesso si deve cambiare!”, dove si manifesta una crescente indignazione nei confronti della gestione politica, per le misure incoerenti e minacciose che vengono preseIl GSFEPP, che il 22 luglio ha spento le 50 candeline dalla sua fondazione, si ispira alla dottrina sociale della Chiesa cattolica, e rappresenta la maggiore ONG del paese attiva nello sviluppo sociale, economico, rurale ed agricolo delle classi meno agiate, ponendo l’essere umano e la difesa della vita come valori centrali. Lo fa grazie a un’affermata rete di imprese sociali che ne sono figlie. Di fronte alla severa crisi che sta divorando le speranze degli ecuadoriani, il GSFEPP non ha cessato di distribuire kit alimentari, per l’igiene, la biosicurezza dei medici, nelle varie province. Ha sostenuto concretamente richieste di aiuto di tre ospedali popolari fornendo materiale di protezione medica e medicamenti, e fin dall’inizio ha promosso attività di sensibilizzazione su aspetti di prevenzione e cura del coronavirus per tutta la cittadinanza. 

In America Latina si è avuto il vantaggio di vedere in anticipo il film della pandemia in Europa, ma non è stato possibile replicarne il modello di gestione. La proiezione di un picco di contagi in stile Europeo sembra una timida chimera. La popolazione è stanca, incompresa e ignorata, derubata di una visione di medio-lungo periodo, il che alimenta ancor più la disillusione.

Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.

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