Ci stanno tagliando il Nicaragua

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Partirà dal punto in cui il fiume Punta Gorda rovescia le sue acque nel Mar dei Caraibi e attraverserà il Lago Nicaragua, la principale riserva d’acqua dolce dell’America Centrale. Lo farà sbucando sopra l’arcipelago delle Solentiname dove padre Ernesto Cardenal (quello della preghiera per Marylin Monroe per intenderci) ha fondato una comunità libera e solidale attraverso un’interpretazione politica, culturale e artistica del Vangelo, famosa in tutto il mondo anche grazie alle opere in stile naïf dagli abitanti dell’arcipelago (pescatori ed agricoltori). Passerà poi accanto all’isola di Ometepe, la più grande del Lago del Nicaragua, costituita da due vulcani uniti tra di loro, il Concepcion ed il Maderas, luogo di sepoltura delle popolazioni precolombiane e di una bellezza tale da non permetterti di vederla una sola volta (io ho dovuto tornarci). Attraversato il Lago, a questo punto, rimarranno da tagliare solo 10 km di terra o poco più, sempre di un’ampiezza compresa tra i 230 e i 520 metri e con una profondità di almeno 30 metri, e da Rivas si arriverà a Brito sul Pacifico. Così dopo 278 km di devastazioni sociali e ambientali il Canale Interoceanico del Nicaragua sarà pronto, permettendo il passaggio di più di 5.000 imbarcazioni da più di 250mila tonnellate all’anno, con un tempo di attraversamento di circa 30 ore l’una. 

L’idea di costruzione un canale in Nicaragua non è una novità e gli Stati Uniti, che coltivarono il progetto dall’inizio del XX secolo, vi rinunciarono solo dopo l’acquisto dei diritti francesi sul canale di Panama (1904). L’ipotesi non è mai stata abbandonata alimentata dall’incremento costante del traffico marittimo mondiale che rende il progetto economicamente sostenibile, meno a livello ambientale, ma questo l’ex guerrigliero anti imperialista Daniel Ortega Saavedra, l’attuale presidente della Repubblica nicaraguense che da oltre trent’anni domina fra luci e ombre la scena politica del Nicaragua, interessa poco. I lavori sono iniziati il 22 dicembre 2014 e gli interessi milionari che si muovono attorno al progetto, spacciato come un “ricostituente” per il Prodotto Interno Lordo e l’occupazione hanno cancellato in Ortega tutte le perplessità.  Con la costruzione del canale, che sarà più grande di quello di Panama, per il Governo nicaraguense, infatti, il Pil del Nicaragua passerà dall’attuale 4% o 5% al 15% nel 2016, riuscendo a raddoppiare la propria crescita economica che potrebbe raggiungere la cifra record di 24.797 milioni di dollari nel 2019 quando è previsto il completamento dell’opera, rispetto ai 14.947 milioni di dollari stimati se non si costruisse il canale interoceanico. Sempre secondo le previsioni del Governo a canale completato, “la povertà sarà scesa al 31,35% rispetto all’attuale 42,5%, mentre la povertà estrema sarà ridotta della metà, arrivando al 7,46%”. 

Ma a che prezzo? Per quanto riguarda quello economico la cinese Hong Kong Nicaragua Canal Development Investment Company (HKND) guidata dal magnate cinese Wang Jing che si è aggiudicata in maniera diretta e senza appalto, la concessione del canale per 50 anni, prorogabili per altri 50, “l’investimento complessivo sarà di 50.000 milioni di dollari con l’impiego di 50 mila lavoratori nel settore delle costruzioni e 200 mila posti di lavoro in totale” in un progetto che oltre al canale, prevede la costruzione di due porti, una zona di libero commercio, un complesso turistico con vari tipi di hotel, un aeroporto e nuove e più moderne vie di comunicazione. Secondo il quotidiano nicaraguense El Espectado, la Banca Centrale del Nicaragua ha impegnato tutte le sue riserve internazionali per garantire questo progetto tanto che per Antonio Ruiz, un esponente di primo piano dei movimenti ecologisti d’opposizione al Governo “lo Stato del Nicaragua ha ceduto parte della sua sovranità, per la realizzazione di questo canale. All’investitore straniero, infatti, è stata ceduta tutta la proprietà del canale” ha spiegato l’attivista e “molte imprese legate all’opera non sono nazionali e hanno sede in paradisi fiscali”. Come se non bastasse vari media e agenzie internazionali con corrispondenti in Cina assicurano che Jing è conosciuto nel suo Paese con il soprannome “Il Pazzo del Canale”, vista la sua mancanza di esperienza in un progetto che non ha ottenuto neanche l’appoggio pubblico del Governo cinese (ma a quanto pare solo di quello russo). 

Ma a mettere in dubbio la saggezza della decisione del Governo del Nicaragua non ci sono solo i conti, ma ci sono anche i contadini e i proprietari che hanno già visto espropriati i loro terreni per scopi di interesse nazionale, numerose popolazioni indigene, gli ecologisti e altri settori della società civile che non hanno mai smesso di contestare la costruzione del canale, visto che l’azienda cinese, a lavori avviati, non ha ancora presentato nessuno studio sulla sostenibilità tecnica e ambientale, oltre che finanziaria del megaprogetto. Così nonostante Jing, abbia più volte assicurato che questa opera milionaria sarà ecologica e rispettosa dell’ambiente: “Vi do la mia parola che il canale del Nicaragua sarà un canale ecologico, amico dell’ambiente”, ha dichiarato lo scorso luglio durante un incontro a Managua con il presidente Ortega, una minoranza di nicaraguensi non ci crede a fronte, secondo un sondaggio della compagnia M&R Consultores,  di un 62% della popolazione contenta della costruzione del canale e delle sue ricadute.

A spingere in piazza anche in questi giorni contadini e proprietari terrieri sono state le espropriazioni. “Le zone coinvolte - ha spiega Ruiz - non sono solo quelle in cui passerà il canale, ma anche le sue aree di influenza, che diventano zone strategiche. Secondo le stime potrebbero essere più di 130mila le persone a rischio esproprio”. L’attivista critica fortemente anche le modalità con cui il governo ha risposto alle proteste: “Le autorità hanno attentato alla libertà di opinione, di parola”. Un trattamento non dissimile da quello riservato ai rappresentanti indigeni della costa caraibica del Nicaragua che hanno chiesto al Governo, senza ottenere risposta, che si rispettino la Convenzione ILO 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali. La comunità nera di Bluefields, composta da varie organizzazioni chiede tra le altre cose che si rispetti la titolazione del territorio del popolo afrodiscendente di Bluefields, come previsto dalla legge 445 del Nicaragua.

Ma oltre alla proprietà e le risorse delle popolazioni indigene il canale mette a rischio una delle risorse più importanti, per il Paese l’acqua e le sue riserve naturali. Per l’ong Centro Alexander von Humboldt, una delle molte preoccupate per le ricadute ambientali dell’opera, se più di 100 km passeranno attraverso il Lago Nicaragua “è possibile venga alterato l’equilibrio e l’integrità di un’importante risorsa di acqua dolce”. Per questo “Noi chiediamo la presentazione degli studi tecnici completi, affinché insieme ad altri professionisti altamente specializzati, possiamo far conoscere la nostra opinione e le nostre osservazioni come gruppo di professionisti indipendenti”, ha dichiarato Victor Campos, direttore del Centro Humboldt. Attraversato il Lago, poi, il canale proseguirà verso l’Atlantico tra due riserve naturali: a nord quella di Bosawas, la più grande area di foresta pluviale nonché più estesa area protetta dell'America Centrale (sacra agli indigeni Sumos) e appena più a sud la Reserva natural Cerro Silva distruggendo 400.000 ettari di zone umide e foreste pluviali tra le più ricche di biodiversità al mondo. 

Sono sicuro non fosse questo che pensava padre Cardenal quando ricordava da Ministro della Cultura del primo governo Sandinista voluto proprio da Ortega nel 1979 che “Tutta la natura si tocca e si intreccia. Tutta la natura si abbraccia”, non si taglia, soprattutto qui, nel Paese il cui nome nell’antica lingua indigena significa “circondato dall’acqua” e per mano dell’uomo oggi è destinato ad essere dall’acqua diviso. "Vedremo passare le navi, ma non potremo più pescare e neppure bere l'acqua del lago”, ha concluso Cardenal.

Alessandro Graziadei

Sono Alessandro, dal 1975 "sto" e "vado" come molti, ma attualmente "sto". Pubblicista, iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2009 e caporedattore per il portale Unimondo.org dal 2010, per anni andavo da Trento a Bologna, pendolare universitario, fino ad una laurea in storia contemporanea e da Trento a Rovereto, sempre a/r, dove imparavo la teoria della cooperazione allo sviluppo e della comunicazione con i corsi dell'Università della Pace e dei Popoli. Recidivo replicavo con un diploma in comunicazione e sviluppo del VIS tra Trento e Roma. In mezzo qualche esperienza di cooperazione internazionale e numerosi voli in America Latina. Ora a malincuore stanziale faccio viaggiare la mente aspettando le ferie per far muovere il resto di me. Sempre in lotta con la mia impronta ecologica, se posso vado a piedi (preferibilmente di corsa), vesto Patagonia, ”non mangio niente che abbia dei genitori", leggo e scrivo come molti soprattutto di ambiente, animali, diritti, doveri e “presunte sostenibilità”. Una mattina di maggio del 2015 mi hanno consegnato il premio giornalistico nazionale della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue “Isabella Sturvi” finalizzato alla promozione del giornalismo sociale.

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