Africa senza parole…

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Si continua a parlare, in Italia, in Europa e forse anche altrove, ma ci credo poco, di profughi, di immigrati, di “invasione”, di “attacco islamico al cristianesimo” e quanto di peggio ancora si possa pensare. In questi giorni l’Italia sta chiedendo aiuto “formalmente” all’Europa. Minacciando di chiudere le frontiere.

Vedendo le cose dall’Africa questo sembra soltanto un pessimo film, in cui si esaltano i disvalori umani e si calpestano i diritti di ogni persona in quanto “essere umano”.

Cominciamo dall’Uganda, in cui mi trovo. Ci sono 40milioni di abitanti e 1,2 milioni di rifugiati dal Sud Sudan (8/900mila), dal Congo e da Etiopia, Eritrea e Somalia: il 3% dell’intera popolazione e tutti concentrati nella regione nord del paese. Non ci sono incidenti, non ci sono malumori, c’è posto per tutti… La stessa cosa avviene in Libano. La stessa cosa avviene in Grecia. Ai benpensanti italiani, quelli che chiamano gli altri “buonisti”, è venuto il mal di pancia sapendo che in Italia, lo scorso anno, sono stati “accolti” (merita le virgolette per via del nostro modo di vedere l’accoglienza!) ben 183 mila profughi su 60 milioni di abitanti: lo 0,3%… un decimo di quanto ha fatto l’Uganda.

Guardando alla situazione attuale, e rispondendo a coloro che obbiettano “dove è la guerra?”… “perchè non lavorano a casa loro?”… “qui siamo poveri...”, facciamo un piccolo quadro generale.

Sud Sudan. La guerra civile continua nel silenzio dei media mondiali e dell’ONU perché, anche se c’è il petrolio (che ora vale meno della metà di tre o quattro anni fa), ci sono gli interessi angliamericani e cinesi da rispettare, oltre a quelli dichiarati apertamente dell’Uganda. I primi vendono armi; i secondi non vedono l’ora di costruire strade e stadi ed entrare massicciamente nel nuovo mercato con i loro prodotti; gli ultimi perché hanno qui parte del loro esercito che altrimenti peserebbe sul suolo patrio. Si aggiunge infine la siccità che, per dichiarazioni ONU sta massacrando decine di migliaia di persone. Ma l’ONU parla, fornisce dati e non fa nulla contro la guerra civile.

Etiopia ed Eritrea sono sempre in stato di guerra civile con forze dispari per cui gli abitanti, impoveriti dalla siccità e dalla carestia, sono costretti a trovare altri posti in cui sopravvivere. Per non parlare della Somalia.

In Nigeria, Ciad, Mali, quindi l’area immediatamente sub-sahariana, è in profonda depressione politico-economica grazie ai governi locali, appoggiati dai singoli paesi occidentali per puri interessi economici (Francia, USA, Gran Bretagna, e altri), che sono soggetti, oltre ai ricatti economici, anche alle violenze di Boko Haram e degli Shebab (diramazione di Al Qaida).

Congo e Centrafrica. La situazione qui è altamente esplosiva. Nonostante il fortissimo intervento del Vaticano, dopo l’inaugurazione dell’anno Santo della Misericordia, in Centrafrica si pensava che pace fosse fatta, ma le etnie non cattoliche stanno facendo di tutto per prendere il potere e non si può pensare di avere pace finché non trovano punti in comune per gestire una nazione. Anche in Congo, all’inizio dell’anno, il presidente Kabila aveva promesso, ed aveva sottoscritto un impegno formale con la Conferenza Episcopale, di indiri elezioni democratiche e non ripresentarsi come candidato per la terza volta, cosa esclusa dalla Costituzione del paese. Al momento non si parla proprio di elezioni e si stanno trovando mille scuse per rinviarle, assottigliando con arresti ed omicidi l’opposizione. Per non parlare di “presidenti” ottuagenari e dittatori corrotti come in molti altri paesi (dal Rwanda in tutta l’Africa meridionale, di cui sappiamo ancora meno, perché i media non vedono sotto l’Equatore, come se questo fosse un muro).

Questa sommatoria di situazioni è il risultato di oltre mezzo secolo di politiche di colonizzazione economica ed industriale dell’occidente ricco delle materie prima africane, ricco dell’impoverimento delle popolazioni di questo continente attraverso la corruzione, il “landgrabbing” (furto delle terre produttive a scopo di produzione per l’occidente, anziché contro la fame locale), la vendita di armi per contribuire alla riduzione per guerra delle popolazioni locali.

Non riusciremo mai a risolvere il problema dell’immigrazione verso l’Europa di milioni di persone a cui non rimane che il sogno di mangiare e studiare e crescere nelle loro terre, ma si vedono costretti ad una fuga di massa da queste per trovare il minimo di sopravvivenza. Non ci riusciremo mai, se non con la coscienza di rinunciare a parte del nostro (falso) benessere per lasciare l’Africa agli africani. Occorre essere coscienti che qui occorre portare la nostra “conoscenza” scientifica e tecnologica e lasciar perdere i nostri “modelli di sviluppo”, lasciando alle tradizioni locali ed alla civiltà locale le scelte socio-politiche da fare per il loro sviluppo e non per il nostro, ancorchè il nostro fosse migliore.

E’ ora di finire di vedere il mondo con occhio europeo o comunque occidentale e costringere il resto del mondo ad essere come noi. L’Eurocentrismo è finito. La globalizzazione avrebbe dovuto farcelo capire nel significato intrinseco della parola non esiste un “centro del mondo”.

Paolo Merlo

Nato a Roma, ma spezzino di adozione, cresciuto in giro per l’Italia, informatico della prima ora nelle maggiori aziende multinazionali (Olivetti, HP, Canon) e poi imprendito­re e manager. Da oltre 10 anni “volontario a tempo pieno” lavora con diverse associa­zioni per la creazione di “computer rooms” e la formazione degli insegnanti nelle scuo­le superiori in Africa: Sud Sudan, Uganda, Centro Africa, Burkina Faso, Congo RDC e altrove ancora… Collabora come freelance a RadioIncontri InBlu e con diverse testate on-line.

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