Referendum in California: sì a più tasse, no alla pena di morte

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La California è sempre stata un mondo a parte. Almeno per noi europei è un luogo sospeso tra la realtà e la fantasia, in cui sono i film a girare la pellicola della vita concreta. La conferma è avvenuta qualche anno fa con l’elezione a governatore di Schwarzenegger: dal cinema alla politica, cosa non nuova per gli Stati Uniti. Eppure il primo stato americano per popolazione (sui 37 milioni), il terzo per estensione (423 mila km2), con il PIL maggiore dell’Italia, sede di aziende leader nel settore dell’innovazione (a cominciare da Google), è ancora una volta sull’orlo della bancarotta. Anche a questo i californiani sembrano abituati: non si sono scomposti per un’analoga situazione occorsa quattro anni fa. Contrariamente alla maggior parte degli altri Stati, la California ha un sistema sanitario abbastanza oneroso per le casse pubbliche ma che garantisce maggiori servizi alla popolazione: il sistema è pagato dal gettito fiscale delle grandi corporation che generano da sole un enorme flusso di denaro, benché le tasse siano molto basse. Quando però Apple, Amazon o eBay contraggono i guadagni rispetto all’andamento consueto, ecco che tutto lo Stato rischia di fermarsi.

Pochi giorni fa in una conferenza stampa il governatore californiano Brown ha ammesso che lo Stato deve fronteggiare un deficit di 15,7 miliardi di dollari. Per far fronte a questa emergenza il programma di Brown aveva già stimato di compiere 8,3 miliardi di tagli, 5,9 miliardi di tasse e 2,5 miliardi di altre iniziative. “Un piano duro, - scriveva qualche mese fa il sito linkiesta.it - che prevede un aumento di mezzo centesimo delle sales tax, l’imposta locale sui consumi e un aumento del prelievo fiscale per le rendite superiori ai 250 mila dollari. Un piano che secondo un sondaggio promosso proprio dall’ufficio del governatore ed i cui risultati sono stati resi noti il 13 dicembre avrebbe il consenso di oltre il 65% dell’elettorato. Una proposta a tempo, della durata di cinque anni, che garantirebbe circa 7 miliardi di dollari all’anno, circa la metà del deficit previsto per il 2012 (tra i 13 e 14,5 miliardi di dollari) soldi che verrebbero messi in un fondo speciale destinato solo ai servizi più colpiti dai tagli, l’istruzione e lo stato sociale, due altre eccellenze della California nonché i servizi più colpiti dai tagli automatici previsti in caso di un deficit superiore al miliardo di dollari”.

Fin qui niente di speciale. Il fatto eclatante, sconosciuto alle nostre latitudini, è che questo piano fiscale verrà sottoposto a referendum il novembre prossimo in occasione delle elezioni presidenziali. Il governatore aveva cercato inutilmente di far approvare per via legislativa l’aumento delle aliquote fiscali: una bestemmia per l’ideologia liberista e per le varie lobby che influiscono pesantemente sulla politica (basti pensare che nel 2010 la candidata repubblicana come governatrice della California era l’ex Ceo di eBay). Così Brown si rivolge ai cittadini che saranno chiamati a votare per altri quesiti di natura fiscale proposti da gruppi della società civile, miranti comunque a un nuovo equilibrio della tassazione.

Un’altra questione centralesarà decisa attraverso un referendum: l’abolizione della pena di morte nello Stato. Dal punto di vista finanziario sarebbe un affare, in quanto si calcola che tutto l’apparato della pena capitale costa 184 milioni di dollari l’anno. Dal punto di vista della giustizia sarebbe un obbligo, anche alla luce di un recente, terribile, caso di errore processuale: un uomo era stato condannato a morte per omicidio solo perché si chiamava allo stesso modo del vero assassino. La verità è uscita quasi trent’anni dopo. Ma, si sa, molti innocenti attendono ancora, come nel caso del nostro Chico Forti. I cittadini hanno raccolto 800 mila firme per indire il referendum guidati da una donna che era stata direttrice del carcere di San Quintino, una garanzia per il possibile successo della consultazione.

Nel frattempo in aprile il Connecticut è diventato il 170 Stato abolizionista anche se, curiosamente, la nuova legge non è retroattiva e quindi ci sono ancora 11 detenuti nel braccio della morte. In maniera inesorabile però cresce l’opposizione della gente comune a questa forma di “giustizia” che comincia a ripugnare non solo a livello morale. Basta fare due conti e ci si accorge che la pena di morte comporta costi umani, sociali e anche economici non trascurabili in un tempo di crisi. La scelta dei californiani potrà essere duplice: sì a tasse più alte (per redistribuire la ricchezza), no alla pena di morte (per fare veramente giustizia).

Piergiorgio Cattani

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