L’annus horribilis della Russia

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“Il 2021 è stato l’anno più repressivo del decennio”, così descrive Grigory Okhotin, fondatore del progetto OVD-info, gli ultimi dodici mesi della Russia, tracciando una parabola che ha inizio con l’arresto del principale leader dell’opposizione Aleksej Navalny e si conclude con la chiusura del Memorial, “la più antica organizzazione per i diritti umani” e con il nuovo progetto di legge sulla cittadinanza, le cui implicazioni fanno già tremare gli oppositori del potere.

La guerra ai dissidenti si è lasciata alle spalle ogni confine. Sul piano dei suoi bersagli è andata ad ampliare il concetto di “agente straniero” e ha colpito dagli attivisti politici ai rapper, agli avvocati, cancellando partiti e arrestando rappresentanti eletti dal popolo. Dal punto di vista del terreno di battaglia il Cremlino ha annientato la strategia digitale di Navalny, lo “Smart Voting” e ha manipolato i voti elettronicidel 17-19 settembre, ottenendo la vittoria elettorale del partito di maggioranza Russia Unita. A due giorni dalle elezioni, l’applicazione creata da Navalny che permetteva di individuare per ogni circoscrizione elettorale il nome del candidato di opposizione con maggiori possibilità di battere il candidato del partito al potere è stata bloccata da Apple e Google su richiesta di Vladimir Putin. I brogli elettorali hanno portato il Partito Comunista (KPRF), che continua a contestare i risultati delle elezioni, a presentare a fine anno alla Duma di Stato un disegno di legge sull’abolizione del voto elettronico a distanza, poiché sarebbe stata proprio la manipolazione dei dati digitali a permettere un capovolgimento dei risultati, penalizzando pesantemente i candidati KPRF.

In tutto il 2021 si è registrata una forte emigrazione fra i dissidenti, tra cui i politici Gennady e Dmitry Gudkov, Sergej Boyko, i giornalisti Roman Badanin e Roman Dobrokhotov, l’attivista per i diritti umani Pyotr Verzilov, l’avvocato Ivan Pavlov e i suoi colleghi, e il rapper Alisher Morgenstern. Verso fine aprile l’organizzazione di Aleksei Navalny è stata dichiarata fuori legge per “attività estremiste”. A rischio persecuzione penale restano un centinaio di ex collaboratori di vario livello. Leonid Volkov, ex capo della rete di sedi regionali del quartier generale di Navalny, anch’esso in esilio, riassume così la situazione in un messaggio sul canale Telegram: “A novembre, subito dopo l’arresto di Lilia Chanysheva (ex coordinatrice della sede di Ufa*NDR), abbiamo ricontattato tutti gli ex coordinatori rimasti ancora in Russia, e offerto assistenza per la partenza: finanziaria, organizzativa, ecc. (…) tuttavia, i restanti ex dipendenti si rifiutarono categoricamente di andarsene”. Dei 38 ex coordinatori delle sedi, almeno 14 sono emigrati. Due, Zakhar Sarapulov e Ksenia Fadeeva, sono stati arrestati a fine anno...

L'articolo di Ambra Visentin segue su Atlanteguerre.it

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