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Un osservatorio sull’alternanza scuola-lavoro
Giovani
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Foto: MChe Lee da Unsplash.com
Manca ormai un mese alla fine dell’anno scolastico. È più tempo di bilanci da pagelle per gli studenti che di manifestazioni, per lo meno per i giovani, a differenza dell’appuntamento datosi dagli insegnanti in piazza per lo sciopero nazionale il prossimo 30 maggio contro l’ennesima riforma del mondo scuola che genera nuovo malcontento nel comparto. A metà febbraio, appena 3 mesi fa, erano invece gli studenti in piazza: 200mila studenti in 40 città in protesta contro l’alternanza scuola-lavoro dopo la morte del 18enne Lorenzo Parelli, colpito da una trave d’acciaio in una fabbrica a Udine l'ultimo giorno di un corso di formazione professionale, e, a distanza di poche settimane, dello studente marchigiano Giuseppe Lenoci in un incidente stradale mentre era impegnato in un apprendistato nell'ambito di un corso professionale di termoidraulica. Morti che richiamano i dati tragici e inaccettabili dell’insicurezza sul lavoro in Italia (già si piangono 189 lavoratori deceduti nel primo quadrimestre dell’anno), ehanno fatto chiedere agli studenti manifestanti di porre fine al progetto formativo che, secondo alcuni di loro, conduce “troppo presto in un mondo del lavoro fatto di sfruttamento, precarietà e insicurezza”.
Unimondo ha parlato della percezione dell’alternanza scuola-lavoro, o meglio dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l'Orientamento (PCTO) secondo la più recente dicitura ministeriale, con il dirigente di un Istituto professionale e con la già referente di un Liceo Scientifico del Trentino; due progetti educativi differenti e per questo di estremo interesse nel loro confronto. “Nell’ambito di un istituto professionale è”, infatti, “più corretto parlare di attività di approfondimento delle competenze professionali appartenenti all’ambito operativo prescelto, mentre i percorsi di alternanza scuola-lavoro seguono una logica più di tipo orientativo ed esperienziale”, spiega il direttore dell’Opera “Armida Barelli” di Rovereto (TN), Bernardo Zanoner, Istituto professionale rivolto alla formazione di estetiste e parrucchieri. Illustrando le caratteristiche principali dei tirocini professionali, Zanoner indica in 120 ore la “formazione in contesto lavorativo” degli allievi frequentanti il terzo anno di qualifica e in 320 ore quella per gli studenti già in possesso di un diploma per completare e affinare la preparazione professionale. Tutor aziendale (generalmente la titolare di un salone di bellezza) e tutor formativo (della scuola) condividono l’onere di monitorare l’attività e la maturazione personale e professionale del giovane studente. In linea generale, emerge una valutazione nettamente positiva dell’esperienza in quanto, secondo Zanoner, “il mero inserimento in un ambito operativo reale, anche se non finalizzato all’apprendimento di competenze professionali specifiche, costituisce sempre un valore aggiunto per la crescita della persona e professionale, in quanto lo studente è costretto a confrontarsi con dinamiche e modalità molto diverse rispetto a quelle che trova e sperimenta nell’ambito formativo”.
Venendo propriamente all’alternanza scuola-lavoro, è la professoressa Maria Silvia Defrancesco, già referente del programma per il Liceo Scientifico “Galileo Galilei” di Trento e attualmente in pensione, a ricordare che è stato introdotto dalla “Buona scuola” nel 2015 e che è stato accolto con un certo scetticismo. Da un generale “macché lavoro, gli studenti devono studiare” a preoccupazioni dei docenti sulla nuova mansione professionale su di loro incombente (inclusiva di ulteriore burocrazia) e sui tempi sempre più ristretti per il completamento dei programmi, o dallo sberleffo sulle mansioni inutili che sarebbero state assegnate agli studenti (le classiche fotocopie per intenderci) alle polemiche sullo sfruttamento che il programma sottintende in quanto si tratta pur sempre di lavoro ma non pagato. Polemiche e perplessità organizzative a parte, la macchina organizzativa si è messa in moto. E, secondo Defrancesco, molte preoccupazioni si sono sciolte come neve al sole: 200 sono le ore previste per lo studente liceale e si possono svolgere nell’arco di tre anni. “Tanto per dare un’idea, due tirocini estivi di tre settimane ciascuno supererebbero già il monte ore richiesto”, specifica Defrancesco. Inoltre, fondamentale, “I ragazzi non devono andare a lavorare gratuitamente ma vengono inseriti in un contesto in cui le attività da svolgere non sono banali, quindi c’è sicuramente da mettere in conto un periodo di osservazione e di inserimento. Le mansioni eventualmente svolte non sono assolutamente da inquadrare come sfruttamento minorile, ossia come lavoro non pagato”. I giovani vanno, infatti, ad “acquisire competenze relativamente alle discipline scolastiche, spesso comprendendo l’importanza delle loro conoscenze e di quante ancora ne servono. Inoltre, i tirocini proposti sono personalizzati e cercano di aiutare lo studente o la studentessa a orientarsi circa la strada che vedono per il loro futuro”. In passato molte delle attività svolte durante i tirocini venivano proposte ai propri figli dalle famiglie particolarmente attente, culturalmente attrezzate e dotate di possibilità economiche nell’intento di potenziare professionalmente le inclinazioni dei propri figli: secondo Defrancesco, in una sorta di democratizzazione di un processo altrimenti esclusivo, “l’obbligo di seguire attività PCTO apre strade a tutti, indipendentemente dalla famiglia di origine” e consente l’attivazione di un’effettiva alleanza intergenerazionale tra il mondo degli adulti (lavoratori) e quello dei giovani studenti. Un esempio a favore di questa tesi: dai dati emerge che “moltissimi studenti, per loro libera scelta, superano abbondantemente il monte ore richiesto per legge.”
Dunque abolire, riformare o tenere questi percorsi? Forma di sfruttamento, inutilità od opportunità? Le riflessioni restano sul tavolo del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e nella bocca e nelle mani dei tanti studenti, insegnanti e lavoratori coinvolti nell’esperienza.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.