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"Un giorno la notte": il film
Giovani
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Immagine: Arcacoop.com
“Come può essere il tramonto visto da persone su un barcone che stanno cercando di arrivare in Italia?”, chiede preoccupato Pasquale a Sainey. I due sono seduti sul lungomare, di fronte a un cielo intriso di nuvole a strisce rosa, che contrasta col grigio e le tonalità scure dell’acqua e della linea dell’orizzonte. Pasquale è un signore sessantenne, cieco, compagno di squadra e amico di Sainey, ragazzo gambiano poco più che ventenne affetto da una grave malattia alla vista, purtroppo irreversibile, che rischia di farlo diventare totalmente cieco. “Lì, purtroppo, il tramonto è una cosa brutta”risponde, liberando un sorriso, che vuole sdrammatizzare un’esperienza evidentemente molto tragica, che ha vissuto sulla propria pelle 6 anni fa. Ma se per i suoi ex compagni di viaggio il tramonto rappresenta l’angoscia del buio che incede, per Sainey la discesa del sole è ancor più spaventosa. Perché é la via che ogni sera lo conduce alla cecità.
Sainey è il protagonista e co-autore del film di Michele Aiello e Matteo Cattani "Un giorno la notte" (2021), visibile in streaming su Zalab e MioCinema. Arrivato in Italia, come tanti migranti in cerca di un futuro migliore, il giovane si aggrappa alla speranza di trovare una cura alla retinite pigmentosa, la malattia che assieme al fratello maggiore si porta appresso fin da bambino, ma di cui ignorava il nome in Africa. Si tratta di una disabilità visiva che comporta una lenta degenerazione, progressiva e bilaterale, della retina e dell’epitelio pigmentato retinico, causando nel tempo la perdita della vista. Sainey racconta davanti alla telecamera probabilmente il momento più triste della sua vita, il momento in cui ha visto vanificarsi tanti sacrifici: la visita oculistica dove il medico gli ha comunicato la mancanza di una cura alla sua patologia. Il giovane racconta di come abbia dovuto abbandonare il sogno di tornare a vedere, e dell’impossibilità di costruire un progetto di vita di lungo termine. La voce è tenue, morbida, ma le sue parole sono ponderate e pesanti come macigni, ed emergono da un duro percorso di accettazione psicologica e autoconvincimento per adattarsi il più possibile a una cecità che avanza ed evitare di caricarsi di aspettative. Forse la lezione più preziosa imparata.
Decide così di apprendere svariate attività e arti, sperimentando un’integrazione diversa, un’integrazione tra pari, e prepararsi a un futuro che incombe, sperando di essere il più autosufficiente possibile. Nel susseguirsi delle scene lo vediamo prendere dimestichezza con il braille, con la scultura, fino alla sua maggior passione che fa da impalcatura a tutta la pellicola: il baseball. È grazie a questo sport che Sainey incontra il suo grande amico, Pasquale, e si innesta un’asse di fiducia e solidarietà tra due persone, che superficialmente, anagraficamente, culturalmente, potrebbero sembrare lontane, ma che in questo contesto si rivelano estremamente vicine e genuinamente alleate nella difficoltà della loro situazione.
Del film, diretto Aiello e Cattani, colpisce la capacità di entrare senza invasività o futile retorica nelle vite di Sainey e dei suoi amici, ciechi e ipovedenti, e di catturare nel fondo un’espressività quasi inaspettata. Non come qualcosa di eccezionale in una persona cieca, bensì di radicalmente quotidiano. Attraverso il percorso di adattamento di Sainey e gli insegnamenti di Pasquale, la trama riesce a donarci questo “terzo occhio” e aiuta anche a sfatare tante leggende metropolitane sulla vita dei ciechi, che non sviluppano nessun “super potere” rispetto ai restanti sensi, ma piuttosto un pragmatico spirito di indipendenza.
La storia ci sottopone a diversi drammi, docce fredde, verità toste da digerire, di cui pochi parlano nei media, magari più interessati all’audience che al messaggio. Ma i registi riescono ad inserire all’interno del dramma, raggi di cinema commovente, scene toccanti e confessioni profonde, fino a dialoghi esilaranti. E lo fanno con enorme umanità, senza cercare compassione, spesso ritorta nella sua immobilità, ma piuttosto con l’intenzione di avvicinare il mondo di coloro che vedono a coloro che non lo possono fare, una condivisione serena e radicalmente terapeutica per entrambi.
L’opera nasce infatti dall’idea di un laboratorio di Video Partecipativo a Bologna, al quale Sainey ha partecipato nel 2018. Al termine di quell’esperienza i due giovani registi propongono a Sainey di realizzare un film sulla sua vita. Proseguendo con lo sviluppo del film, inizia a prendere forma l’idea dell’auto-narrazione, che alternata ad una rappresentazione dal mondo esterno, diviene il nucleo principale attorno cui gravita la storia. Ci sono infatti due punti di vista nel film che si intrecciano e completano l’uno con l’altro: quello soggettivo di Sainey e quello osservativo dei registi. Citando i registi: “il film vuole trasmettere e incoraggiare una diversa percezione visiva per avvicinarsi meglio ai testimoni del film”. Un obiettivo pienamente centrato.
L’arricchimento di particolari e accorgimenti tecnici è impeccabile, tutti richiamanti a una vista parziale, incompleta, come quella del protagonista. Per esempio la sequenza di scene dove i contorni dei personaggi si sfuocano gradualmente e diventano sempre meno nitidi, o la scelta di utilizzare un formato fotografico come il 4:3, che taglia una porzione di inquadratura per il pubblico e lo obbliga a sperimentare una visione più limitata, in un’epoca dove si masticano quasi esclusivamente formati larghi. Un altro elemento è senz’altro l’assenza di una colonna sonora fatta di composizioni musicali. La vera colonna portante del film sono le tantissime voci dei protagonisti, i diversi suoni che orientano chi guarda, le battute di mano nelle partite di baseball, o i bastoni che battono sui pavimenti.
Un giorno la notte è un’esperienza che accoglie lo spettatore con un sorriso, con la delicatezza dell’animo di Sainey, e la professionalità di Aiello e Cattani, e senz’altro aiuta ad avere un pó meno paura del buio. Disponibile anche in versione per non vedenti con la voce narrante di Andrea Pennacchi.
Marco Grisenti

Laureato in Economia e Analisi Finanziaria, dal 2014 lavoro nel settore della finanza sostenibile con un occhio di riguardo per l'America Latina, che mi ha accolto per tanti anni. Ho collaborato con ONG attive nella microfinanza e nell’imprenditorialità sociale, ho spaziato in vari ruoli all'interno di società di consulenza e banche etiche, fino ad approdare a fondi d'investimento specializzati nell’impact investing. In una costante ricerca di risposte e soluzioni ai tanti problemi che affliggono il Sud del mondo, e non solo. Il viaggio - il partire senza sapere quando si torna, e verso quale nuova "casa" - è stato il fedele complice di anni tanto spensierati quanto impegnati, che mi hanno permesso di abbattere barriere fuori e dentro di me, assaporare panorami, odori e melodie di luoghi altrimenti ancora lontani, appagare una curiositá senza fine. Credo in un mondo più sano, equilibrato ed inclusivo, dove si possa valorizzare il diverso. Per Unimondo cerco di trasmettere, senza filtri, la veritá e la sensibilità che incontro e assimilo sul mio sentiero.