Tunisi: intimidazioni integraliste e voglia di libertà

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“Libertà, diritti, politica, costituzione”. Democrazia, certo. E partiti. Le parole hanno un peso: descrivono climi, veicolano messaggi, riflettono modi di pensare; di più: selezionano le idee. Hanno un peso anche (e soprattutto) in questa primavera tunisina fatta di speranze e inquietudini. Più di un anno è passato da quell’altra primavera, quella del crollo repentino (e inaspettato) del regime di Ben Alì. Tutto è cominciato qui, in seguito al drammatico sacrificio di Mohamed Bouaziz, datosi fuoco nell’inverno 2011, in segno di protesta. Una scintilla, poi l’incendio. La fine di un sistema fatto di sparizioni discrete, anonime camere di tortura, disinformazione; nondimeno di benefici, opportunità, appoggi. Un anno è poca cosa nell’economia della storia, in particolare delle rivolte arabe occorse negli ultimi 100 anni. Eppure il linguaggio è mutato, radicalmente. Si è fatto frenetico, interessato. Impegnato. La riflessione dell’intellettuale, la dichiarazione del politico, la battuta del più umile: tutto si rincorre. Iperbolico. È questa la democrazia? Forse.

Tuttavia non bisogna abbandonarsi a troppo facili entusiasmi: le scorie di 23 anni di autoritarismo non scompaiono con il volgere di qualche stagione. La situazione nel paese è tesa, le componenti dell’integralismo religioso attive in ogni campo. L’azione di propaganda dei salafiti capillare e provocatoria; fino all’intimidazione. All’ordine del giorno manifestazioni “impositive”, decise a vincolare la popolazione a comportamenti più consoni, secondo loro, alla morale islamica.

Non mancano episodi legati a un simbolismo non meno importante: ha fatto scalpore il caso di un giovane salafita che avrebbe cercato di sradicare una bandiera tunisina dalla propria asta, per sostituirla (a detta del giovane per “avvolgerla”) con una verde, colore dell’Islam. Simboli. Idee. Parole.

A queste azioni corrisponde un’analoga forma di pressione politica in seno all’Assemblea costituente, eletta nel novembre scorso. I salafiti reclamano un punto fondamentale per tutti i movimenti integralisti: la citazione, nella Costituzione, della Shari’a, la legge islamica. Lo scorso 26 marzo il portavoce del partito tunisino Ennahda, guidato da Rashid al-Ghannushi e vincitore delle scorse elezioni, ha annunciato che la nuova Costituzione non menzionerà al suo interno la Shari’a o, per meglio dire, non conterrà riferimenti diretti a fonti del diritto islamico. Un passo nella giusta direzione che non consente, però, di abbassare la guardia.

Una possibile rinascita culturale. La costruzione di spazi di libertà e partecipazione duraturi richiede accordi sofferti, trattative, relazioni, contrappesi. Sopra ogni cosa: cultura. Solo questa può consentire il salto di qualità da una diffusa aneddotica politica all’azione consapevole, alla nascita di un radicato senso di cittadinanza e tolleranza, unico baluardo contro ogni possibile tentazione ideologica. Non è un caso che le forze più retrive della società tunisina (gli stessi salafiti nda) cerchino di colpire in particolar modo i luoghi in cui si pratica e si sviluppa il sapere: scuole, università. Recentemente una grande manifestazione ha eletto a bersaglio gli operatori del teatro, ritenuti forieri di messaggi troppo progressisti.

La maggioranza della popolazione guarda con sfavore alle azioni dei gruppi islamisti. Il timore è che il loro seguito possa crescere nel tempo, alimentato dal sostegno economico-previdenziale che essi danno agli strati più deboli di una popolazione colpita duramente dalla cattiva congiuntura economica interna e internazionale, e poco sostenuta dallo Stato. Una strategia che ricorda molto da vicino quella dei “Fratelli Musulmani” (in Egitto) e di Hezbollah (in Libano).

Il governo, nel frattempo, interviene in maniera tenue: un po’ per evitare ulteriori scintille, un po’ per intrinseca debolezza. I più maliziosi vedono in questa assenza proprio la mano del partito islamico-moderato Ennahda: il fine sarebbe quello di alimentare la tensione, spostando il baricentro politico verso posizioni filoislamiche, con l’obiettivo di accreditarsi come sintesi fra posizioni laiche (maggioritarie nei grandi centri) e istanze più dichiaratamente islamistiche. Un gioco pericoloso.

Luci ed ombre. Passaggi delicati. Un futuro da costruire con attenzione e cautela. D’altronde Roma non fu fatta in un giorno. Anche Cartagine ha i suoi tempi.

Omar Bellicini

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