Stromae. Anagramma in musica dall’Europa al Rwanda

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Quando vivevo a Roma, la mia coinquilina francese se ne usciva ogni tanto con qualche parola che sembrava senza senso. Un po’ il francese lo capisco, ma quelle erano proprio strambe! “Verlan, si chiama”, mi ha spiegato un giorno davanti al mio sguardo perplesso. Uno slang tutto parigino che spezza i vocaboli in sillabe e li capovolge. Un codice di modestia, tangente al centro, che capisci solo se conosci il verso giusto delle parole e delle emozioni. Stromae è così. Un mae-stro che parla a chi gravita attorno al centro delle città, delle sofferenze e della vita, sospeso tra l’indecisione di restarne osservatore e il desiderio di buttarcisi dentro in picchiata. Stromae è la nuova star del pop europeo in cima alle classifiche di ben 19 Paesi, uno di cui non avete mai sentito parlare (parola di The Guardian) e che pure è il divo di migliaia di adolescenti. Su Twitter ha più di 388 mila followers, se mi capite. La musa della tristezza, lo chiamano, perché le sue canzoni allacciano fili tra le crisi esistenziali di una generazione in perdita. Senza partire subito dall’ultimo singolo, Formidable (provocazione di erre arrotolate e patetiche), basta ascoltare la hit d’esordio che lo ha portato alla fama, Alors on dance, per tornare a sfiorare quell’universo adolescenziale di cui ci si dimentica in fretta. E allora si balla? Sì, forse, se vi piace l’incrocio tra rap e heavy beat… Io sto sentendo la canzone mentre scrivo queste righe e penso che, anche se ho superato da un po’ gli anni confusi dei Bildungsroman in strada, rimane sempre fonte di troppe domande il cupo senso di ansia che attanaglia queste note. Vado a vedermi il testo, qualche strofa qua e là, e non trovo alcun conforto: “Chi dice studio dice lavoro, chi dice soldi dice di spenderli, chi dice credito parla di debito, chi dice amore parla di mocciosi, chi dice per sempre dice divorzio… e allora usciamo per dimenticare tutti i problemi… allora balliamo”. Una sferzata che traccia la direzione – o la deriva? – del futuro di quegli ombrosi adolescenti d’Europa, affascinati dalla sua musica gloomy.

E la sua immagine è parte del suo appeal: alto, smilzo, ricercato look androgino, occhi verdi e carnagione color café-au-lait (“in Africa mi considerano un bianco”), Stromae è il perfetto figlio multiculturale dell’Europa di oggi, madre belga e padre ruandese. Paul Van Haver (il suo vero nome) è un tipo particolare, un ventottenne di quelli “di seconda generazione”, che piacciono per il metissage che le sue origini, prospettive e storia portano con sé. Uno che di compromessi ne incarna molti, non solo per quel modo di dire francese (compromis à la Belge) che si rifà alla geografia del Paese sospesa tra fiamminghi e valloni. Le sue canzoni sono lamenti, che partono da lontano. Forse proprio da quel 1994, quando il padre venne ucciso nel tragico genocidio che scosse il Rwanda davanti a un mondo paralizzato: Papaoutai (Papà, dove sei?), video inquietante per una delle sue hit le cui strofe, appoggiate su note elettroniche e stridenti, raccolgono la sofferenza e la solitudine di un figlio cresciuto inquieto, nella scia di un crimine orrendo: “Dimmi da dove viene così che io sappia dove sto andando… Mamma dice che se ti cerco bene ti troverò… Tutti diventiamo padri e poi scompariamo… Tutti sappiamo come nascono i bambini ma nessuno sa come sono fatti i padri”.

Un Maestro che regala consigli sulla pace, la violenza e il silenzio, uomo del suo tempo che posta “lezioni insolite“ su YouTube che restano nonostante ciò perfettamente inserite nel solco di quel realismo misto a poesia di molti cantanti francofoni (Piaf, Aznavour). Non a caso anche Stromae rimane legato all’eredità di Rimbaud e Apollinaire, ma è anche grande fan di Ibrahin Ferrer (Buena Vista Social Club), della malinconia delle congas come dei bit dell’elettronica. Un uomo che del Rwanda dice: “Penso, ma non ne sono sicuro, che bisognerebbe concentrarsi sul perdono. L’attuale presidente Paul Kagame ha fatto molti sforzi in questa direzione. Dopo tutto, in Rwanda si sono verificati crimini enormi. Dovremo valutare questo genocidio.” E del Belgio, sua attuale dimora: “In Belgio… beh, in Belgio non ci sono stati genocidi fortunatamente. Ma le persone sono occupate con problemi simili, sciocchezze linguistiche. Credo che le persone dovrebbero avvicinarsi le une alle altre. Parliamo di problemi umani.” Un ragazzo in crescita, che porta con sé insoddisfazione, lucidità, giochi di parole: è questo il riassunto degli adolescenti di oggi? E’ dietro la voce, i ritmi e i racconti di un agile dandy che si incolonnano file di giovani che hanno perso la strada? Forse, chi lo sa. Certo ci auguriamo che non siano solo questo. Che in qualche modo la musica giochi ancora quel ruolo che, continua Stromae in un’intervista, ha spesso ricoperto: cancellare i confini e far ballare le persone.

Anna Molinari

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