Ritiro degli USA dall'Accordo di Parigi getta un'ombra sulla COP25

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La prossima uscita degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi è uno dei momenti più bui della governance mondiale del clima e potrebbe determinare una diminuzione d’entusiasmo per qualsiasi decisione presa alla COP25 di Madrid. Ma la presenza della Speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, e di altri legislatori democratici statunitensi alla fine della Conferenza dimostra che gli Stati Uniti non sono un blocco monolitico dietro al loro Presidente.

Gli Stati Uniti hanno già avviato il processo di ritiro dall’Accordo, ma non possono portarlo formalmente a conclusione fino al 4 novembre 2020, il giorno dopo le elezioni presidenziali e quattro giorni prima dell’inizio della COP26. Mentre il segretario di Stato Mike Pompeo e gli altri alti ufficiali dell’amministrazione Trump hanno deciso di non partecipare alla Conferenza ONU sul Clima di quest’anno, una piccola delegazione del Dipartimento di Stato ha fatto la propria comparsa per rimanere nei prossimi giorni della settimana, quando saranno prese decisioni fondamentali sui sistemi di perdita e danno e di mercato globale delle emissioni.

La delegazione di Trump ha mantenuto una posizione ostruzionista su alcuni temi, posizione che conferma la scelta del Presidente USA.

“La delegazione statunitense è collaborativa rispetto a problematiche quali la trasparenza e lo stabilimento di regole precise per le transazioni previste dall’Articolo 6”, ha dichiarato Alden Meyer, direttore di Strategia e Politiche della Union of Concerned Scientists. “Non si dimostra altrettanto in relazione a questioni quali i meccanismi di perdita e danno, i meccanismi finanziari e la possibilità di alzare le aspettative attese dai Paesi. La delegazione non può fare altrimenti, vista la posizione del loro Presidente e della loro amministrazione. Dobbiamo quindi attendere la COP26 per un cambiamento”.

Durante le negoziazioni di quest’anno, gli Stati Uniti sono stati molto chiari nella loro opposizione a eventuali finanziamenti per le perdite e i danni causati dal cambiamento climatico. “Gli Stati Uniti affermano di voler mantenere un basso profilo alla Conferenza, concentrando la loro attenzione soprattutto su aspetti tecnici”, ha detto Collin Rees, Campaigner della Oil Change International. “E poi li si vede mentre distruggono le negoziazioni sui meccanismi di riparazione per le perdite e i danni, che sono estremamente importanti”.

Pelosi e la sua delegazione hanno fatto una breve apparizione alla conferenza per dimostrare il loro supporto agli Accordi di Parigi. Tra i delegati ci sono quattro presidenti dei più importanti comitati sulle politiche climatiche della Casa Bianca. Negli USA intanto, Pelosi e la sua delegazione hanno tenuto una conferenza stampa sulla COP25. “La nostra presenza significa che, anche se il Presidente si è ritirato dagli Accordi, noi siamo ancora dentro”, ha affermato Pelosi. “Siamo ancora impegnati a proteggere l’ambiente per i nostri figli e il nostro futuro”.

Ma i Democratici, scettici sul Green New Deal e altre proposte in linea, si spingono oltre. Rees continua dicendo: “Non siamo nello stesso spazio internazionale riguardante le politiche ambientali di quando era in carica Obama, che comunque non faceva abbastanza. Penso che tra i Democratici si desideri tornare a quel momento. Ma penso anche che questa sia stato un segnale molto utile per loro e per tutti i politici statunitensi: le cose non sono le stesse e non possono cavarsela mantenendo le stesse posizioni”. “Ritengo che la situazione attuale abbia un grosso impatto sul loro pensiero rispetto alla crisi ambientale, un impatto che darà frutti”.

Una vittoria democratica cambierebbe la diplomazia climatica degli Stati Uniti.

Il futuro della diplomazia climatica USA dipende in larga misura dalle elezioni presidenziali di novembre 2020. La vittoria del candidato democratico potrebbe significare che gli Stati Uniti rientreranno negli Accordi di Parigi già il 21 febbraio 2021, trenta giorni dopo l’insediamento del nuovo presidente. La vittoria di Trump significherebbe che gli USA usciranno definitivamente dagli Accordi almeno per i successivi quattro anni e questo vorrebbe dire mettere a rischio l’integrità degli Accordi stessi.

“Il destino elettorale USA sarà di grande importanza già la settimana prima delle effettive elezioni”, dice Meyer”. “Se Trump è rieletto, il mondo dovrà affrontare la situazione e capire cosa ne sarà degli Accordi di Parigi. Un eventuale ritiro USA darà l’esempio ad altri Paesi per fare lo stesso? Avrà effetto su Jair Bolsonaro o Scott Morrison? Oppure non avrà alcuna conseguenza?”. Indipendentemente dalle elezioni dell’anno prossimo, la delegazione statunitense dovrà rispondere alle domande di un pubblico sempre più attivo, che chiede azioni significative per contrastare la crisi climatica.

“Siamo testimoni di una mobilitazione sempre maggiore della società civile che chiede azioni concrete e decisive, che considera i governi responsabili delle inefficienze e del fatto che si schierino più a favore delle multinazionali attive nei loro Paesi che a favore del loro popolo, direttamente esposto alle conseguenze dei cambiamenti climatici”, afferma Sriram Madhudsoodanan, Deputy Campaigns Director di Corporate Accountability. “Stiamo osservando una costante crescita di giustizia ambientale e di azioni volte al suo raggiungimento in molte città e Stati USA, che stanno denunciando industrie consapevolmente responsabili di una crisi ambientale che sta andando avanti da molto”.

Sam Godman from Ruta del Clima, partner of Agenzia di Stampa Giovanile

L'agenzia di stampa giovanile è un'iniziativa di partecipazione giovanile attraverso l'uso creativo dei nuovi e tradizionali strumenti di comunicazione e informazione. In Italia, l'Agenzia di Stampa Giovanile è attiva a Trento e Bologna. 

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