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Pippo Pollina, passione civile
Giovani
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Un cantautore in prima linea si potrebbe definire Pippo Pollina. In prima linea nella vita e nella sua dimensione artistica. Un artista nato e vissuto a Palermo e poi emigrato a vent’anni in giro per l’Europa a inseguire un sogno fatto di musica e libertà. Gli inizi nel gruppo degli Agricantus e l’impegno civile e politico nella rivista “I Siciliani” diretta dal giornalista e scrittore Giuseppe Fava, assassinato dalla mafia nel 1983 perché parlava troppo chiaro. Nel pieno edonismo degli anni ’80 Pippo gira l’Europa facendo un po’ di tutto per mantenersi, ma prevalentemente il musicista di strada, prima di stabilirsi definitivamente in Svizzera nel 1987.
L’incontro casuale con il cantautore svizzero Linard Bardill dà il via alla sua carriera solista con la pubblicazione dei primi album che registrano un successo crescente nei Paesi di lingua germanofona. La particolarità sta nel fatto che Pippo Pollina riesce a conquistare il pubblico nonostante canti rigorosamente in italiano. Mentre in Germania si trova a collaborare con un cantautore di spicco come Konstantin Wecker, in Italia è pressoché sconosciuto, tanto che i suoi primi sei dischi sono pubblicati da etichette svizzere o tedesche.
Nel 1997 l’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando viene a conoscenza della popolarità di Pippo Pollina nell’area di lingua tedesca e lo invita nel capoluogo siciliano per una conferenza stampa di presentazione del disco “Il giorno del falco”, seguita da una breve tournèe nella penisola. Da allora riprende il filo interrotto con la terra natia e i suoi dischi vengono pubblicati anche in patria con titoli importanti come “Rossocuore” (1999), al quale collaborano Franco Battiato, Nada e il cantante degli Inti Illimani, “Versi per la libertà” (2001) e “Bar Casablanca” (2005). Proprio all’inizio di gennaio Pippo Pollina è stato insignito del prestigioso Premio Svizzero della Scena 2012, riservato a un solo artista scelto tra tutte le arti, che per la prima volta va a un’artista italiano.
Sono tante le canzoni del suo repertorio che affrontano temi sociali (“Pristina ‘99”), politici (“Il giorno del falco”) e ambientali (“Chernobyl dieci anni dopo”) ma in particolare un disco, intitolato “Ultimo volo. Orazione civile per Ustica” (2007), è dedicato interamente alla tragedia dell’aereo precipitato nel 1980 per cause ancora misteriose che provocò la morte di 81 persone. Ne abbiamo parlato con lo stesso Pippo Pollina in occasione del tour italiano di “Abitare il sogno”, dal titolo della biografia scritta da Franco Vassia, durante il quale ha sostenuto dal palco l’associazione On The Road Onlus, che attraverso il “Fondo Lilian Solomon” raccoglie fondi per le vittime della tratta di esseri umani.
Com’è nata l’idea di un’opera tra teatro e canzone sulla strage di Ustica?
“Ho ricevuto la proposta congiunta del consorzio teatrale Accademia Perduta e dell’associazione Parenti delle Vittime, che intendeva realizzare un’opera che potesse essere rappresentata in occasione dell’inaugurazione del Museo della Memoria a Bologna nel 2007. Ho accettato la sfida perché era una proposta che non si poteva rifiutare e il disco “Ultimo Volo” è la fedele registrazione dello spettacolo tenutosi il 27 giugno 2007 al teatro Manzoni di Bologna. Nella scrittura ho cercato di dare una chiave di lettura personale con la personificazione dell’aereo come ultimo superstite: l’opera è fatta di canzoni e monologhi e accanto alla mia band si avvale della partecipazione di Manlio Sgalambro (voce narrante) e degli Archi della Filarmonica Arturo Toscanini. “Ultimo Volo” è stata rappresentata una decina di volte e la prossima data italiana sarà il 4 maggio a Cattolica”.
In una canzone come “19 luglio 1992” ripercorre il tragico giorno dell’attentato al giudice Paolo Borsellino.
“Ho scritto quella canzone sull’onda delle corde vibrate dalla rabbia per quanto successo in quegli anni decisivi per la nostra Repubblica. Mi sono chiesto con quale stato d’animo Falcone e Borsellino avessero affrontato il loro calvario e se nella lotta a Cosa Nostra si fossero davvero resi conto di essere entrati in un gioco più grande di loro. In quel 19 luglio mi trovavo proprio a Palermo e partecipando al funerale di Borsellino ho avvertito amaramente che si stava compiendo quanto profetizzato da Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: tutto stava cambiando perché tutto rimanesse come prima”.
Come vede l’Italia dal suo osservatorio svizzero?
“Spesso mi chiamano alla televisione svizzera facendomi la stessa domanda: io cerco di non infierire ma purtroppo l’immagine della nave affondata davanti all’isola del Giglio mi sembra lo specchio del nostro Paese, col capitano che abbandona la nave e i soccorsi che arrivano in ritardo. Si respira un grande senso di sfiducia e disagio psicologico perché senza sacrifici, al di là di quelli economici, non si va da nessuna parte: l’Italia anche culturalmente è un Paese notoriamente disattento”.