Neomalsore, ovvero l’Albania che non ti aspetti

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Foto di Marjana Koçeku

Ora che l’autunno sembra essere arrivato, l’Albania archivia un’estate memorabile, da record. Pochi mesi, incandescenti e intensi, in cui un caldo afoso e particolarmente lungo ha incorniciato una crescita eccezionale del comparto turistico. 

Lo abbiamo letto su tutti i giornali e visto su tutte le tv: tantissimi italiani, quest’anno, hanno deciso di attraversare l’Adriatico e passare le vacanze sulle coste del Paese di fronte. 

Già nel 2022, l’Istituto statistico albanese (INSTAT) aveva contato più di 7 milioni di stranieri in ingresso per motivi di turismo, visita ai familiari o viaggio. Il 2023 ha visto un ulteriore incremento degli ingressi di stranieri: 7 milioni solo nei primi otto mesi dell’anno. 

Insomma, la promessa di un paradiso vacanziero a buon mercato ha attirato migliaia di turisti che hanno affollato le spiagge bianche e le acque cristalline, in particolare, del sud del Paese. 

Chi frequenta l’Albania da un po’ sa che da anni si preannunciava un boom nel settore turistico. La speculazione era iniziata già da tempo, fedele alla legge di mercato per cui più la domanda cresce, più l’offerta si espande. Così, negli ultimi anni l’Albania ha incrementato esponenzialmente l’offerta turistica in termini di posti letto e attività collegate. 

Ciò ha portato ad un giro d’affari che, probabilmente, mai prima si era visto, accompagnato da un relativo aumento di posti di lavoro e di opportunità economiche. Eppure, una crescita così veloce appare, per certi versi, poco controllabile e non priva di risvolti negativi per la popolazione locale. L’aumento dei prezzi ne è un esempio. 

Inoltre, la moltiplicazione di attività è coincisa con la cementificazione insensata di aree vergini, dimentica di esigenze ambientali e paesaggistiche. Non è raro vedere cattedrali nel deserto e paesaggi deturpati da chilometri di (brutte) costruzioni ammassate. Come sta gestendo l’Albania l’organizzazione delle strutture ricettive? Esiste un piano edilizio che tenga conto dell’impatto ambientale di queste costruzioni? 

Ad un primo sguardo, la risposta sembra proprio essere negativa.  

C’è da dire, però, che non tutto il Paese è avviluppato su un tale modello di “turismo intensivo”. Esiste ancora una parte che sfugge alle dinamiche del turismo di massa, alle iper-speculazioni e, d’altro canto, anche al sostegno dello Stato centrale. Perché è proprio in queste zone che si percepisce la disparità fra le diverse regioni del Paese. Queste aree appaiono trascurate sia dal punto di vista infrastrutturale, che nel sostegno alle piccole attività economiche. 

Si tratta, in linea generale, dell’entroterra albanese. Una regione che da Scutari si estende verso il Kosovo. È l’area regionale montana del Dukagjin e di Tropojë.

In questi luoghi è conservata l’anima della cultura e delle tradizioni albanesi, oltre che paesaggi intatti e stupefacenti. 

Il Financial Times li ha definiti luoghi “himalayani” e non si può proprio dargli torto. 

È il cuore verde e blu di un Albania che turismo, sviluppo economico e scelte politiche sconsiderate non sono ancora riusciti a rovinare. Si tratta di zone considerate, sostanzialmente, di “serie B” e quindi spesso ignorate. 

Invece, per i lettori della più famosa penna albanese, Ismail Kadare, sono luoghi quasi mitici, solenni, complicati e difficili da comprendere. 

Rimaste isolate, in queste aree è sopravvissuto a lungo il codice medievale del Kanun. Sono luoghi complessi, dicevamo, perché la vita è aspra e dura, lontana dalle comodità dei centri urbani e dal potere centrale, per cui è facile disinteressarsene. 

Dove luoghi e persone vengono abbandonati, la legge medievale è rimasta per tanto tempo a sostituire la legge dello Stato. Dove lo Stato trascura i suoi doveri, trafficanti e malviventi hanno spesso trovato rifugio. 

La mancanza di prospettive è diventata la ragione per cui la gente, negli ultimi trent’anni, ha cercato di scappare. 

Ma oggi, la piccolissima parte della popolazione, che resiste ed è rimasta a vivere lì, lotta per una vita diversa. Inutile dirlo: questa è gente tosta, gente di montagna, dura, orgogliosa. Ed è con la caparbietà della gente di montagna che si sono reinventati un’economia diversa, senza tradire loro stessi e la natura che li circonda e che è Casa.  

Quando ho incontrato Marjana lavorava per una tv privata ed era già impegnata in progetti di sostegno dell’artigianato femminile di montagna. Ma la sua vita ha subito una svolta il giorno in cui è diventata l’alter ego di Neomalsore.

Marjana è riuscita a portare avanti il suo progetto che parla di turismo sostenibile, di imprenditorialità femminile, di agricoltura, di rispetto dell’ambiente, di armonia con la natura, di tradizioni e cultura: «Ho studiato scienze politiche e relazioni internazionali a Tirana e a Genova. Amo la diplomazia e, inizialmente, volevo davvero diventare una diplomatica. Ma poi ho cominciato a viaggiare per l’Europa, incontrare culture diverse e a provare nostalgia di casa».

Homesick, parola inglese con cui si esprime la nostalgia di casa è concreta ed esplicativa: letteralmente, significa essere “malati di casa”. Marjana usa questo termine per spiegare quale sia il sentimento provato quando si è trovata lontana dal posto che l’aveva vista nascere e crescere. Il posto di Marjana è Nanplep, nella regione montana del Dukagjin. 

«Da allora, i miei sogni sono cambiati – continua – e ho preso consapevolezza dei miracoli che avevo lasciato indietro, a casa mia: il sapore della mia infanzia, il cibo sostanzioso e il duro lavoro manuale di mia madre, la mia eroina.” 

Spesso, le rivelazioni che abbiamo quando siamo lontani consistono nello scoprire che tutto ciò di cui avevamo bisogno è sempre stato sotto ai nostri occhi: «La nuova me ha iniziato a partorire il mio progetto.»

Neomalsore nasce come un piccolo blog antropologico. In questo spazio, Marjana voleva raccontare dell’architettura locale della Kulla (la casa tradizionale albanese), della natura inesplorata e selvaggia, del cibo, di ricordi di infanzia e di etnografia. 

Marjana e la sua famiglia iniziano a ristrutturare la casa di famiglia, una Kulla tradizionale appunto, con un’idea in testa: «È stato difficile, a ventuno anni, iniziare a pensare ad un agriturismo nel bel mezzo del nulla. Qui la cultura getta le sue radici in secoli di patriarcato e l’unica connessione che si può avere è quella con la natura. Ho lavorato duramente, senza avere idea di dove “la fortuna” mi avrebbe portata, soltanto seguendo il fuoco che sentivo dentro. Non avrei permesso che quell’ispirazione si spegnesse per nessuna ragione. Il mio sogno era quello di creare una struttura completamente autosufficiente, obiettivo a cui stiamo ancora lavorando. Al momento, siamo in grado di offrire per l’80% prodotti locali, in collaborazione con altri agricoltori.» 

Marjana la chiama “agri-filosofia”, quella di coinvolgere la gente del luogo e far sì che la sua attività abbia ricadute positive anche sugli altri membri della piccola comunità montana.  

«Mia madre mi tiene con i piedi per terra. Lei è la lavoratrice più infaticabile, la persona più umile e premurosa che conosca, oltre che la mia più grande supporter. Mio padre è stato il primo capitano qui al lago e mi ha ispirata con la sua storia. Si è sempre sforzato di aiutare le altre persone, trasportando generi alimentari e di prima necessità attraverso il lago.»

Il lago a cui Marjana si riferisce è il lago di Koman: un serpente color verde acqua purissimo che striscia fra le rocce delle montagne. Si tratta di un lago artificiale, ricavato negli anni ’70 dalla costruzione della diga idroelettrica sul fiume Drin, a cui si aggiungono le acque dei fiumi Shala e Valbona. 

«Nella nostra casa vivo con mia madre, i miei due fratelli e le loro famiglie. Viviamo assieme e condividiamo la nostra casa con i turisti che ci vengono a trovarci. La maggior parte di loro arrivano dall’Europa del nord, Scandinavia, Olanda e Germania. È così che ho capito che il turismo era il settore in cui, davvero, volevo lavorare e che amavo: ora posso incontrare altre culture, rimanendo a casa mia. Questo è il sogno per me.» 

Quando Marjana racconta del suo agriturismo, le sue parole hanno il sapore dell’autenticità, delle cose fatte per passione, della fatica che rende felici e fieri.  

È un turismo diverso, abbiamo detto, quello proposto qui. Un turismo responsabile, rurale e lento, con tutte le difficoltà del caso, pochi riflettori e sconnessi dal caos della modernità.  Ma come per ogni salita particolarmente ripida, il panorama vale tutta la fatica del viaggio. 

Maddalena D'Aquilio

Laureata in filosofia all'Università di Trento, sono un'avida lettrice e una ricercatrice di storie da ascoltare e da raccontare. Viaggiatrice indomita, sono sempre "sospesa fra voglie alternate di andare e restare" (come cantava Guccini), così appena posso metto insieme la mia piccola valigia e parto… finora ho viaggiato in Europa e in America Latina e ho vissuto a Malta, Albania e Australia, ma non vedo l'ora di scoprire nuove terre e nuove culture. Amo la diversità in tutte le sue forme. Scrivere è la mia passione e quando lo faccio vado a dormire soddisfatta. Così scrivo sempre e a proposito di tutto. Nel resto del tempo faccio workout e cerco di stare nella natura il più possibile. Odio le ingiustizie e sogno un futuro green.

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