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Lavoro e lavoratori all’insegna di una condizione, la fragilità
Giovani
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Foto: Unsplash.com
Ha ancora senso oggi parlare di lavoro e fragilità? Se questa domanda l’avessimo posta solo un anno fa… molti di noi avrebbero pensato subito alle forme di lavoro senza tutele, alle condizioni di disagio o pericolo in cui molti lavoratori portano ogni giorno a compimento il loro impegno, alle persone portatrici di disabilità per le quali le condizioni di accesso e di mantenimento del posto di lavoro sono amplificate nelle contraddizioni e nelle difficoltà. Alla stessa domanda posta oggi, dopo mesi in cui tutti noi abbiamo attraversato giorni pesanti e siamo stati costretti a rivalutare molte certezze, riassestare tante abitudini e ricontestualizzare il nostro stesso modo di lavorare… forse la risposta sarebbe un’altra. Non di senso opposto, ma probabilmente molto più personale e coinvolgente per noi tutti e tutte, che non solo ci troviamo più smarriti, ma siamo diventati un po’ di più, proprio noi, “lavoratori fragili”.
Ci aiuta nella riflessione in questo terzo appuntamento dedicato alla formazione degli insegnanti sul tema degli Obiettivi dell’Agenda 2030 afferenti alla P di Prosperità il dott. Maurizio Rasera, ricercatore di formazione sociologica e analista per l’Osservatorio Regionale Mercato del Lavoro del Veneto. Uno sguardo, il suo, che a un approccio quantitativo affianca inevitabilmente quello qualitativo, dimensioni necessariamente interdipendenti per poter descrivere il mondo in un modo più rappresentativo, globale, realistico.
Perché in effetti parlare di lavoro è difficile e lo è ancor di più negli ultimi 20/30 anni. La nostra vita è cambiata, in particolare per questioni di velocità: con cui le cose accadono, con cui ne veniamo a conoscenza, con cui spostiamo oggetti, merci e persone. L’innovazione tecnologica è stata rapidissima in questi decenni rispetto ai secoli precedenti, ma gli uomini non sono cambiati altrettanto velocemente: il cambiamento tende a superarci e questo limita probabilmente la nostra capacità di guardare alle cose con completezza, lavoro compreso. La vulgata comune ci fa intendere che sia esistito un passato molto diverso. Ma è davvero così? Pensiamo per esempio alla questione del contratto a tempo indeterminato: sono ancora così invidiabili se, come nel caso del Veneto, nel 30% dei casi finiscono comunque dopo un anno… perché le stesse imprese che li hanno stipulati muoiono nel breve periodo? Nella massa degli occupati solo il 14% è a tempo indeterminato. E a questo si aggiunge una questione retributiva, che aumenta la complessità nel definire gli equilibri tra contratti a scadenza superpagati e contratti a vita senza rilevanti soddisfazioni finanziarie.
Il cambiamento però più sostanziale, che fa certo intravedere un mondo del lavoro più fragile, sta soprattutto nelle condizioni complessive del mercato che sono cambiate, definendo uno scenario di strutture produttive più deboli.
E più in generale si apre una questione di ruoli: un tempo le persone si identificavano con più facilità in un compito specifico, mentre oggi la molteplicità di incarichi è la cifra del nostro modo di stare nel lavoro. Si moltiplicano le occupazioni (anche per un singolo lavoratore) e oltre che lavoratori siamo anche consumatori, a volte nello stesso settore in cui produciamo, aspetto che crea una schizofrenia di visioni e bisogni che ci confonde. Insomma, spesso se non consumiamo sono i nostri stessi posti di lavoro ad essere a rischio.
È pur vero che la debolezza è un fattore che nel mercato del lavoro odierno riguarda alcune specifiche fasce ma, se andiamo a vedere quali, ci accorgiamo che queste stesse fasce rappresentano la società nella sua quasi totalità. Chi sono i più deboli oggi? I giovani (che vanno all’estero); le donne (sottopagate e con il carico del lavoro di cura e del lavoro domestico); i vecchi (che se perdono il lavoro a 50 anni sono difficili da ricollocare); gli immigrati (che di solito accettano i lavori meno remunerati e più esposti a rischi e senza garanzie); le persone con fragilità costituzionali, che portano con sé problemi di tipo fisico o psichico che li rendono ancor meno atti alla produttività di quanto non lo siano gli altri… e quindi? Chi sono davvero i lavoratori fragili?
Le persone con disabilità rappresentano un buon punto di osservazione, perché evidenziano i punti di forza e di debolezza del sistema stesso e incentrano la questione sul tema delle opportunità. Su questo tema interviene nell’incontro Mirko Dallaserra, coordinatore del progetto Tutti nello stesso campo, nato a Seregnano di Civezzano (TN) dalla collaborazione di realtà molto diverse: un’azienda agricola (Mario Leonardi) e una cooperativa sociale che si occupa di persone con disabilità (Coop La Rete), convergenti su un progetto volto a creare un contesto legato sì all’agricoltura, ma che coinvolga non solo persone con fragilità ma anche la comunità nel suo variegato tessuto. Perché? Lo scopo primario non è l’inserimento lavorativo e non è nemmeno un luogo dove parcheggiare temporaneamente persone considerate improduttive e con circoscritti bisogni primari. Lo scopo del progetto è invece accompagnare all’adultità le persone disabili attraverso a un percorso di indipendenza e distacco dal contesto familiare, sia dal punto di vista dell’abitare che del lavorare.
Quello che accade a Seregnano è un processo collettivo e reale: la collaborazione con l’azienda agricola sposta il progetto su un piano di impresa, che coinvolge le persone con disabilità in tutto il processo. Un processo che ha la verità al centro, certo meno rassicurante e meno tutelante, però indispensabile al di fuori di quel bozzolo/prigione in cui spesso le persone con disabilità restano relegate, peraltro fuori dalla comunità. Il valore sociale di questo approccio è anche quello di accompagnare la comunità, a partire dalle famiglie stesse, alla perdita del controllo sulle persone di cui ci si prende cura. È una scommessa che porta a un percorso di autonomia e che intrinsecamente comporta una buona dose di rischio… siamo pronti, tutti, non solo i più fragili tra i fragili? Il senso di partecipazione è l’aspetto di cui maggiormente vengono defraudate le persone con fragilità. Ma tutte le persone vanno portate nel mondo, e uno di questi è proprio il mondo del lavoro, dove la consapevolezza della trasformazione porta un ritorno inquantificabile in termini di efficacia, che è la rivincita più grande non solo per le persone con disabilità, ma per tutta la comunità.
Anna Molinari

Giornalista freelance e formatrice, laureata in Scienze filosofiche, collabora con diverse realtà sui temi della comunicazione ambientale. Gestisce il progetto indipendente www.ecoselvatica.it per la divulgazione filosofica in natura attraverso laboratori e approfondimenti. È istruttrice CSEN di Forest Bathing. Ha pubblicato i libri Ventodentro (2020) e Come perla in conchiglia (2024). Per la testata si occupa principalmente di tematiche legate a fauna selvatica, aree protette e tutela del territorio e delle comunità locali.