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La foresta cresce (anche su un terreno difficile)
Giovani
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“Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce” è un aforisma del filosofo cinese Lao Tzu, datato 600 a.C., e a cui si sono ispirati gli autori dello spettacolo teatrale “La foresta che cresce” realizzato con 40 giovani - cittadini italiani, giovani immigrati di seconda generazione nati o cresciuti in Italia e giovani richiedenti asilo.
Lo spettacolo “LA FORESTA CHE CRESCE. Fa più rumore un albero che cade di un’intera foresta che cresce”, andato in scena a Torino il 15 luglio, ha raccontato le riflessioni dei protagonisti sulle proprie esperienze di vita. C’è la storia di Ilyas, che viene dal Marocco ed è a Torino per studiare ingegneria al Politecnico, e che racconta: «In Marocco, la professoressa di francese ci ha insegnato una canzone, ci diceva di cantarla nei momenti difficili. Ho iniziato a cantarla quando ho dovuto salutare mia madre; l’ho sussurrata quando non conoscevo nessuno; e l’ho gridata quando in strada mi hanno detto di tornare “a casa mia”. Ci sono persone che ti mettono un’etichetta, sei semplicemente “un marocchino” e ti giudicano senza conoscerti, ma mi sono reso conto che le persone belle nel cuore sono molte di più. Solo che “gli altri” fanno più rumore».
C’è Lamine, ragazzo rifugiato in Italia e nato in Niger, che nello spettacolo racconta la visione sociale dell’anziano, considerato in Africa, nel suo paese di provenienza, una risorsa preziosa. Lamine è anche impegnato con l’associazione LVIA, con la quale racconta nelle scuole, utilizzando la metodologia della Biblioteca Vivente, la sua storia dal titolo “Straniero a casa mia”: «Se tornassi in Niger sarei uno straniero, la mia vita è qui – spiega – Ovunque ci sono persone che ti discriminano, ma ho conosciuto tanti che credono in un cambiamento della società. Di questo però non si parla abbastanza».
Il progetto e lo spettacolo La foresta che cresce sono stati ideati e diretti da Gabriella Bordin, Beppe Rosso e Simone Schinocca. Le tre compagnie Tedacà, Acti e Almateatro hanno condotto dei laboratori teatrali propedeutici alla nascita dello spettacolo. «L’obiettivo è raccontare il fenomeno migratorio attraverso storie, amori e desideri di chi oggi, giovane, vive in Italia, ed è parte di quella generazione che possiede il potenziale e l’energia per arricchire di diversità e bellezza la società in cui abita e di cui costruirà il futuro», spiegano gli organizzatori che, per la realizzazione del progetto hanno collaborato con Isola di Ariel, LVIA, Arte Migrante ed Equilibri d’Oriente.
Federica, giovane italiana che ha partecipato al progetto, spiega che «i laboratori sono serviti ad abbattere dei muri interiori, una bellissima occasione di crescita personale». Tanto entusiasmo per questo spettacolo, che non tocca temi politici ma che non può non farci riflettere sulle vicende parlamentari della legge sulla cittadinanza per i figli di immigrati nati o cresciuti in Italia. È del 17 luglio la dichiarazione del Primo Ministro Gentiloni «Votare questa legge con un brutto clima come quello che c’è ora nel paese sui migranti, sarebbe un errore». Come diceva Lao Tzu, si è dato più ascolto al “rumore dell’albero che cade”.
Da anni, diversi enti della società civile come l’ASGI – Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione e la Campagna “l’Italia sono anch’io”, sono attivi a sostegno della modifica dell’attuale legge n. 91/1992 (scheda tecnica di ASGI) in base alla quale un bambino nato in Italia da genitori stranieri può chiedere la cittadinanza dopo aver compiuto 18 anni e solo con determinati requisiti, tra cui quello di aver risieduto ininterrottamente sul territorio nazionale. Motivo per cui, ad esempio, è molto difficile che un giovane in questa situazione possa andare a studiare all’estero o anche solo fare una gita scolastica con i suoi coetanei. Una legge, quella attuale, che causa molte discriminazioni, come spiegato nel documentario “18 Ius Soli” di Fred Kuwornu, che racconta le storie di 15 ragazze/i tra i 18 e i 22 anni costretti a vivere con il permesso di soggiorno anche se parlano e sognano in italiano, in siciliano, in emiliano, in veneto. Dorkas, una delle protagoniste del documentario, ha la pelle nera ma l’accento bergamasco rivela subito i suoi natali italiani. Racconta: «Vorrei diventare commissario, perciò dovrei fare un concorso pubblico ma requisito fondamentale è la cittadinanza. Quando ho compiuto 18 anni la richiesta di cittadinanza l’avevo fatta, ma le pratiche erano lunghe e complicate e non sono riuscita a portarle avanti. A 26 anni mi ritrovo a sentirmi “diversa” e rifiutata dal paese in cui sono nata e cresciuta».
Nel 2011 sono state consegnate alla Camera due leggi d’iniziativa popolare che avevano raccolto 110mila firme per chiedere una riforma della legge 1991/92. Nel 2015, la Camera ha votato una nuova legge che il 15 giugno di quest’anno è approdata in Senato, dove il voto è stato annullato a seguito delle violente proteste di alcuni senatori. Ma cosa prevede il nuovo testo di legge? In breve, uno ius soli “temperato”, simile a quello in vigore in vari Stati europei, ma diverso dallo ius soli “puro” (in vigore negli USA e in base al quale chi nasce nel territorio di uno stato ottiene automaticamente la cittadinanza) e che si applica al bambino nato in Italia se almeno uno dei genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni. Si istituisce anche lo ius culturae in base al quale possono chiedere la cittadinanza i figli di stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni, che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato un ciclo scolastico; e i ragazzi che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni che vivono in Italia da almeno sei anni e che hanno superato un ciclo scolastico.
Secondo uno studio della Fondazione Leone Moressa su dati ISTAT citato da Repubblica, in Italia ci sono 1 milione e 65mila minori stranieri. Moltissimi sono figli di genitori da tempo residenti in Italia, oppure hanno già frequentato almeno un ciclo scolastico.