Il PNRR abbraccia il mercato dei diritti umani

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In attesa dell’arrivo dei sospirati fondi del PNRR per la fine dell’estate, si continua a guardare al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza cercando di capire quale futuro sarà costruito per la “Next Generation” (nuova generazione, il nome del programma dell’Unione Europea a cui fa riferimento il Piano). Un pacchetto da 222,1 miliardi di euro da spendere entro il 2026 non può che cambiare il volto del Paese. Ma in quale direzione?

Se “una crescita economica più robusta, sostenibile e inclusiva” è l’obiettivo finale del Piano, sono i settori nei quali investire e le modalità nelle quali saranno effettuati le chiave di volta dell’intero processo. L’entusiastica pennellata resa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze secondo cui, mediante questi interventi, “il Paese avrà una pubblica amministrazione più efficiente e digitalizzata. I cittadini italiani beneficeranno di trasporti più moderni, sostenibili e diffusi. Gli investimenti e le riforme renderanno il Paese più coeso territorialmente, con un mercato del lavoro più dinamico e senza discriminazioni di genere e generazionali. La sanità pubblica sarà più moderna e vicina alle persone”, fa impallidire il Paese di Bengodi di Boccaccio. I soldi in arrivo riusciranno a superare l’immobilità politica italiana degli ultimi 40 anni attuando riforme strutturali della pubblica amministrazione, del sistema di giustizia, del mercato del lavoro e della scuola? Difficile dirlo al momento.

Quello che è certo è che il PNRR ribadisce in più punti del suo lungo testo l’intenzione di tutelare numerosi diritti umani di tipo sociale, sanciti dalla nostra Costituzione ma di fatto di limitato rispetto sostanziale. Pari opportunità e facile ingresso nel mercato del lavoro; condizioni di lavoro eque; accesso all’assistenza sanitaria; garanzia del diritto all’istruzione; protezione e inclusione sociale dei più fragili, in primis dei disabili; riduzione degli squilibri territoriali. Chi conosce un po’ l’evoluzione delle forme di tutela dei diritti umani in questo Paese non può non notare che questa focalizzazione sui diritti economici e sociali è tanto necessaria quanto inedita. Al pari degli altri Stati dell’Europa Occidentale, anche sulla scorta dell’impianto valoriale che legava questi Paesi al blocco occidentale della guerra fredda, guidata dalla superpotenza statunitense, l’Italia del secondo dopoguerra ha riversato la sua attenzione sul riconoscimento delle libertà civili e dei diritti politici: ecco quindi spiegato l’ampio spazio dato nella Costituzione repubblicana alla libertà di opinione, parola, stampa, di associazione e di religione, nonché al diritto al voto e a essere votato. Erano invece i Paesi del blocco socialista guidati dall’URSS a proporre il rispetto principalmente dei diritti economici e sociali, quali il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, il diritto alla salute, alla casa e all’istruzione. A titolo esemplificativo, torna alla memoria uno dei tanti dibattiti avvenuto in una Commissione delle Nazioni Unite incaricata di stilare una normativa internazionale in materia di diritti umani, allorché dinanzi al pavoneggiarsi del delegato statunitense sulla libertà di stampa goduta dai propri cittadini il rappresentante sovietico rispose con un intervento in cui evidenziò che tale diritto era vuoto senza aver garantito un adeguato diritto all’istruzione che consentisse di leggere e comprendere i testi in maniera critica, senza un finanziamento all’acquisto dei macchinari di stampa e senza un adeguato compenso degli operatori addetti alla stampa. La tanto paventata libertà di stampa sarebbe altrimenti restata appannaggio di uno sparuto gruppo di benestanti. Lo scontro restava tanto ideologico quanto sostanziale.

Oggi tale conflitto non esiste più ed è condivisa la percezione di una necessaria tutela di tutti i fondamentali diritti umani per assicurare dignità a ogni essere umano. Tuttavia molti limiti esistono nel rispetto di alcuni diritti, specialmente di tipo economico e culturale laddove la loro garanzia comporta un’azione fattiva da parte dello Stato. Nonostante quindi l’Italia abbia inserito nel primo articolo della sua Costituzione che la Repubblica è “fondata sul lavoro”, gli interventi strutturali e periodici a cura del settore sono stati sempre limitati e poco incisivi. L’accesso al mercato del lavoro appare discriminante a livello di genere, come anche questi mesi di crisi legata al Covid-19 hanno messo bene in luce: dei 101mila occupati in meno nel dicembre 2020 rispetto al mese precedente, 99mila erano donne; e l’anno 2020 ha chiuso con una perdita di 444mila posti di lavoro, di cui 312mila di donne e 132mila di uomini. I divari generazionali che si sono creati parlano ancora di lavoro, welfare, politiche verso la famiglia e per le abitazioni, formazione continua, a cui il PNRR continua a guardare e non solo per attenuare l’impatto socio-economico della crisi Covid-19 ma per cogliere l’occasione di una riforma sociale attesa da decenni. Il tutto in linea con i principi del Pilastro europeo dei diritti sociali. Accanto ai giovani, si guarda poi alle molte fragilità, soprattutto dei disabili, indicando la volontà di rispettare in pieno la Convenzione internazionale in materia. Profondo interesse emerge inoltre per l’attivazione di politiche atte a ridurre le disuguaglianze di genere ma anche per provenienza, religione, disabilità, età o orientamento sessuale: il PNRR è chiaro in questo “non è infatti solo un problema individuale, ma è un ostacolo significativo alla crescita economica” (PNRR, p. 35). Se dunque la questione etica o giuridica a tutela di questi fondamentali diritti umani non è abbastanza, il Piano guarda a tali politiche con un particolare occhio al pieno sviluppo economico del Paese.

Può piacere o meno, ma se questa impostazione raggiungesse gli obiettivi di pieno rispetto di diritti umani non avremmo che giovarne tutti.

Miriam Rossi

Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.

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