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I turisti del sesso? Sono italiani
Giovani
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Schifo. Dinanzi ai giornalisti riuniti lo scorso 7 giugno in conferenza stampa, la consigliera del Comune di Palermo Rita Vinci non usa altre parole per definire il turismo sessuale. Specifica poi che “gli italiani sono i primi al mondo a praticare turismo sessuale nei confronti dei minori”, affermazione tutt’altro che campata in aria ma suffragata da dati che non accennano a indicare una diminuzione della pratica. Ecco allora che, prima ancora di attivare azioni concrete e risolutive per fermare questa piaga, occorre diffondere una maggiore e diffusa consapevolezza al riguardo, proprio per far cadere quel muro di silenzio che di fatto legittima il fenomeno. È dunque da Palermo, con alle porte la stagione estiva, che parte una denuncia netta contro il turismo sessuale nei confronti dei minori, tramite l’esposizione all’aeroporto “Falcone e Borsellino” di una campagna di manifesti predisposti sul tema, un'iniziativa lanciata da Giorgia Butera (Mete Onlus/Advocacy) insieme a Sara Baresi (Protea, Associazione per la Tutela dei Diritti dell’Uomo) e a Tiziana Barrella (Osservatorio Giuridico Italiano). Solo un primo passo e l’impegno preso dal presidente dell’Enac (Ente Nazionale Protezione Civile), Vito Riggio, di affiggere tali manifesti in tutti gli aeroporti italiani. Seppur non si potranno dunque ignorare i messaggi di “stop al turismo sessuale” disseminati in ogni parete di ciascun aeroporto del Belpaese, e ciò si spera possa aumentare la consapevolezza sul fenomeno, difficilmente tale iniziativa sarà risolutiva nel tentativo di fermare i “turisti del sesso”.
Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale del Turismo ogni anno almeno 3 milioni di persone partono per viaggi a scopo sessuale. Di questi, 80mila sono italiani segnala l’Encpat, associazione che lotta contro lo sfruttamento sessuale dei minori. Anche l’Unicef ha valutato che oggi in Kenya gli italiani sono in assoluto i più presenti, pari al 18% degli stranieri che “comprano” le 15.000 bambine minorenni locali (in genere tra i 12 e i 14 anni) che vivono nelle aree costiere tra Malindi, Bombasa, Kalifi e Diani. Numeri che non si possono più ignorare e tantomeno rilegare a una semplice goliardata a cui “è impossibile non cedere alla tentazione”, come indica un noto sito di viaggi online premuroso nel fornire consigli su dove andare a fare turismo sessuale (pur mettendosi al riparo da possibili denunce indicando che non sponsorizza affatto il sesso con minorenni). Eppur sono proprio i minori a essere oggetto di attenzione nei bordelli (talvolta istituzionalizzati) di Thailandia, Cambogia o Filippine, in Kenya e in Repubblica Dominicana ma anche in Colombia, Brasile e nell’Est Europa, perché laddove la domanda sul mercato è alta, l’offerta a miglior prezzo è data sempre dai Paesi più poveri, o laddove in uno Stato ci sono ampie sacche di povertà. Un business di successo che muove dagli 80 ai 100 milioni di dollari l’anno, sul terzo gradino del podio dopo il traffico di droga e armi, e di cui però spesso traggono vantaggio le organizzazioni criminali che gestiscono i minori, rapiti o venduti dalle famiglie (spesso inconsapevoli) per indurli alla prostituzione in strada o nei bordelli. Anche gli stessi Paesi sembrano quasi accogliere con favore i proventi economici di pregiata moneta straniera senza fare ancora i conti con le ripercussioni sociali del fenomeno.
Se non è vero che tutti i turisti sessuali possono essere schedati come pedofili, che risultano un 5% del totale, risponde invece alla realtà che la maggior parte di essi sono turisti occasionali (o spesso nel Paese in questione per lavoro); ci sono poi i turisti abitudinari, che si trasferiscono per alcuni periodi dell’anno nel territorio dove hanno trovato le loro facili prede, talvolta anche acquistando una casa in loco. “Spesso avviene che persone che nel proprio Paese hanno un comportamento sessuale nella norma, ovvero diretto verso altri adulti, all’estero modificano la loro condotta cercando sesso con minori” denuncia Marco Scarpati, presidente di Ecpat Italia. Anonimato, trasgressione e impunità sono le parole d’ordine di questa pratica, che accomuna persone assai diverse proprio perché età, ceto sociale, condizioni lavorative, stato civile non sono elementi determinanti per essere un “turista sessuale”. E anche il sesso del turista, perché le donne, in numero ancora nettamente inferiore rispetto agli uomini, figurano anch’esse in questo generale identikit.
È del 2007 a Trento il primo arresto di un italiano per turismo sessuale, ossia per prostituzione minorile, pornografia minorile e atti sessuali con minorenni fra i 12 e i 18 anni, tutti fatti avvenuti in Thailandia e Cambogia. Appena un anno prima il parlamento italiano, nel tentativo di reprimere il fenomeno, aveva varato una norma che ampliava i reati concernenti la prostituzione e la pornografia minorile a quelli commessi dai cittadini all’estero. A distanza di quasi 10 anni, l’esiguo numero degli arresti sembra indicare che esso non incide affatto come deterrente: troppo difficili le indagini e il controllo dei dati da incrociare e soprattutto, al contrario, troppo facile la pratica del vero e proprio “acquisto” di un bambino, per due soldi, nelle principali località turistiche dei troppi territori estremamente poveri del mondo.
Miriam Rossi

Miriam Rossi (Viterbo, 1981). Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, è esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale. Dopo 10 anni nel mondo della ricerca e altrettanti nel settore della cooperazione internazionale (e aver imparato a fare formazione, progettazione e comunicazione), attualmente opera all'interno dell'Università degli studi di Trento per il più ampio trasferimento della conoscenza e del sapere scientifico.