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Giovani, pagate il conto
Giovani
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Mammoni, bamboccioni, sfigati. Per definire i giovani i politici hanno usato tutte le parole sino a poco tempo fa impronunciabili. Ma per definire nuove politiche mancano nuove parole e nuovi dati. “Nessuno sa nulla di niente”. Non usa mezzi termini Alessandro Rosina, docente alla Cattolica di Milano, nel descrivere il complesso mercato del lavoro che sta invecchiando – prolungando il lavoro ai già occupati e non occupando i nuovi. Ma, per l’appunto, “invecchiando” non è la parola giusta.
E così ci troviamo con un 50% di giovani disoccupati che dipendono dai genitori se non dai nonni. Dei quali 30 - 35% di persone che vorrebbero lavorare ma non trovano ed un 15% di Neets “not in education, employment, or training”, la percentuale più alta in Europa che fa coppia con un’altra percentuale al ribasso: “la metà dei laureati degli altri paesi”. Eppure, “stime della Banca d’Italia dimostrano che un aumento del 10% della quota di lavoratori laureati porterebbe ad un punto percentuale”.
La via per favorire l’impiego di giovani promesse, al fine di sfavorirne la fuga all’estero, è investire in “Ricerca & Sviluppo”. All’uopo l’Europa del 20-20-20 raccomanda un 3% su questa voce ma l’Italia è il fanalino di coda e, grazie a Tremonti, ha investito la metà di quanto raccomandato.
Durante l’incontro del Festival dell’economia di Trento, avvenuto il primo giugno scorso, promosso dalla Fondazione Achille Grandi per il Bene Comune si afferma che mancano nuovi dati. È pur vero che i giovani emigrano in cerca di lavoro. Le Regioni con più emigrazione sono Lombardia, Veneto e Sicilia. Dalle prime due si va all’estero e dalla terza al centro nord ed estero. Ma i dati AIRE (Associazione Italiani Residenti all’Estero) non ci dicono molto su cosa fanno, quanti e dove sono, settore d’impiego. Senza dati com’è possibile far politica a loro favore?
Luca Bianchi, esperto nel mercato del lavoro in Meridione, ricordando che a sud gli espulsi dal mercato del lavoro sono soprattutto ragazze: 3 su 4, a differenza dei maschi 2 su 3. (vedi slides in pdf). Non resta che emigrare. Il risultato di questi cambiamenti rischia quindi di essere un vero e proprio “tsunami” demografico: Il Mezzogiorno che era una delle regioni più giovani d’Europa si trasformerà nel corso del prossimo quarantennio in un’area più anziana, e di conseguenza economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese a sua volta invecchiato.
Non solo. Le amministrative recenti, a suo dire, mostra un paese spaccato. A nord il popolo si trasferisce il potere sfiduciando i partiti mentre al sud si rafforzano i partiti che sono in grado di garantire la vecchia politica clientelare con ancora risposte individuali a domande collettive.
Occorre invece, per Luca Bianchi di Svimez, focalizzarsi su settori che possono attivare opportunità di lavoro (autonomo, dipendente e cooperativo) per i giovani ad elevata formazione: energia (specie rinnovabili); riqualificazione costruzioni in chiave di efficienza energetica; mobilità sostenibile e reti urbane, filiere agroalimentari (in prospettiva mediterranea); riqualificazione urbana e ambientale; industria culturale e turistica; imprese sociali.
Francesco Delzio rivolgendosi ai giovani intervenuti al Festival è ancor più duro: “cari giovani siete arrivati a fine cena, vi abbiamo avanzato un po’ di frutta ed ora vi tocca pagare il conto”. Prosegue il giovane “Executive Vice President e direttore dell’Area Relazioni Esterne e Affari Istituzionali del Gruppo Piaggio”: “siete tecnicamente una generazione sfigata perché siete arrivati dopo 40 anni dissennati di cattiva politica con un’incapacità di tagliare la spesa pubblica al fine di diminuire i 2.000 miliardi di debito”. Prosegue: “oltre che tardi avete fatto lauree che l’impresa non sa che farsene”. Come uscirne? Due idee. “Per i primi 3-5 anni d’impiego di un giovane il fisco favorirà il nuovo rapporto di lavoro”. La seconda idea: “lo Stato faccia da garante nel rapporto giovane/ banca”.
Leonardo Becchetti avvalla l’idea del microcredito come defibrillatore per far partire e ripartire l’economia in quanto le banche classiche, ma non Banca Etica (20%) e le Banche di Credito Cooperativo (10%), non fanno più credito. Ma il problema è che in Italia, negli ultimi 10 anni, c’è stata la decrescita infelice e sono raddoppiati gli antidepressivi. La via ce la sta indicando Monti che, a suo dire, “dovrebbe fare un po’ la voce più grossa con la Merkel” e che vorrebbe che l’Italia colmasse lo spread con la Germania riguardo alla digitalizzazione della pubblica amministrazione (17 a 37), l’occupazione, l’educazione ed altri 47 fattori.
Ma il problema rimane la finanza. I più grandi Stati devono allocare i loro enormi debiti sui mercati e l’anello più debole sembrano essere i paesi dell’area Euro, come emerso, peraltro, dall’ultimo G8.
La cosa importante, secondo Galtung, in questo passaggio sfrenato di derivati di mano in mano è non rimanere gli ultimi con la bomba in mano. Allora sono guai.