Giovani: da risorsa a problema

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Ai giovani è dedicato l'Anno Internazionale dell'Onu. Iniziato nell'agosto 2010, terminerà il prossimo agosto e si propone, come ha detto il segretario generale Ban Ki-moon, di promuovere tra i giovani gli ideali di pace, rispetto dei diritti umani, e la solidarietà tra generazioni, culture e religioni diverse. Anche la Chiesa guarda ai giovani e ha fissato per loro l'appuntamento per il prossimo mese di agosto a Madrid, dove si svolgerà la Giornata mondiale della gioventù. E pure il “Tavolo per la pace” punta sui giovani, organizzando nelle scuole il progetto “Costruiamo insieme una nuova cultura” per rimettere al centro i valori della Costituzione italiana. Il tutto in vista della Marcia della pace che si svolgerà come sempre da Perugia ad Assisi nel mese di settembre.

L'Onu, la Chiesa, le scuole, il mondo dei pacifisti guardano ai giovani come speranze di un mondo migliore dove ci sia capacità di ascolto, di immedesimazione con gli altri, e di superamento dei contrasti in maniera non violenta. Nobili ideali di giustizia, di amore, e di pace. E quindi evangelici, ma anche conformi alla dichiarazione universale dei diritti umani e, per l'Italia, alla Costituzione. Ed è da sempre che gioventù è sinonimo di speranza e di futuro.

Su questa costante naturale e storica scende però oggi come mannaia l'affermazione dello psicoterapeuta Miguel Benasayag: “I giovani oggi vedono il futuro come minaccia”. Da risorsa quindi sono diventati problema. E l'Italia, nel quadro generale, è tra le più problematiche. Alcuni dati statistici: l'organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ha reso noto che nel periodo tra il 2007 e il 2009 il numero di giovani senza lavoro nel mondo è aumentato di 7,8 milioni. Nell'Unione Europea la disoccupazione giovanile tra il 2008 e il 2009 è salita del 4,6%, giungendo al 17,7%. Ma l'Italia va ancora peggio. I dati Ocse, diffusi il dicembre scorso, parlano di un tasso di disoccupazione giovanile del 18,5% in area Ocse, ma l'Italia è salita al 26,2%, che la porta al penultimo posto in Europa, seguita solo dall'Ungheria.

La situazione però più preoccupante è quella dei giovani che non studiano e nemmeno lavorano, perché ormai hanno perso la fiducia di trovare un'occupazione e quindi nemmeno la cercano. Né tranquilla si può definire la situazione di quelli che lavorano, perché il 44,5% hanno un lavoro precario e il 18,8 solo part-time.

A proposito di speranza, ai giovani si dà investendo in istruzione e in formazione. In altre parole: seminando. Ebbene, anche la semina in Italia lascia a desiderare. Perché se la media della spesa pubblica in istruzione nell'area Ocse è del 13,3%, in Italia non raggiunge il 10%. E in termini assoluti, mentre l'area Ocse investe in istruzione e formazione il 6,5%, l'Italia non raggiunge nemmeno il 4%.

Sono numeri, che possono risultare anche ostici alla lettura, ma il significato complessivo è che i giovani non godono di quella attenzione che la natura stessa vorrebbe. E la loro precarietà lavorativa rischia di diventare esistenziale.

A questo punto è chiaro che dare dei “bamboccioni” ai giovani che non si staccano dalla famiglia per farne una propria, come ha fatto il ministro Brunetta, o ripetere loro che devono “adattarsi”, come ha fatto il ministro del Lavoro, Sacconi, significa quantomeno fuga dal problema. E quando i giovani studenti, ricercatori, disoccupati e precari hanno organizzato manifestazioni di piazza è stato un segno politico di non rassegnazione e di giusta rivendicazione di dignità. Come ha riconosciuto anche il card. Bagnasco nel suo discorso ad Ancona.

Celebriamo l'anno internazionale dell'Onu, andiamo incontro alla Giornata mondiale della gioventù e prepariamo nelle scuole la Marcia per la pace, ma coscienti che i primi ad aver diritto di giustizia, di attenzione amorevole e politica e di pace sono loro: i giovani. Perché per loro il futuro non sia più una minaccia, bensì la speranza.

Vittorio Cristelli da Vita Trentina

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