Dalla Nigeria al Chianti, "un autostop mi ha cambiato la vita”

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Foto: Pixabay.com

“Era inverno, faceva freddo e c’era la neve. Stavo tornando a casa dalla chiesa: vivevo in un centro di accoglienza per migranti a Saltino, sulle montagne del Chianti, ma non avevo il biglietto dell’autobus, così ho chiesto un passaggio. A quel punto è arrivato Sascha. Non lo sapevo, ma quell’incontro mi ha cambiato la vita”. Joseph, 23 anni, originario di un paesino di pescatori della Nigeria, si ricorda tutti i dettagli di quel giorno di dicembre del 2016: da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi ha ottenuto l’asilo politico, lavora nel roseto Fineschi, uno dei più importanti giardini botanici d’Italia, e vive in un piccolo monolocale a Cavriglia, in provincia di Arezzo. Nel suo percorso l’amicizia con Sascha, toscano di 30 anni, è stata determinante: “Mi ha aiutato da subito: quel giorno non doveva passare di là, ma mi ci ha accompagnato lo stesso – ricorda Joseph –. Ci siamo scambiati i numeri e siamo rimasti in contatto: dopo qualche settimana ha portato al centro coperte, giacche, vestiti e una stufetta. Da allora il rapporto si è stretto sempre di più”.

Un giorno la sorella di Joseph, che ancora vive in Nigeria, si sente male: si tratta di una semplice appendicite, ma per l’operazione bisogna pagare 300 euro. Joseph non sa chi chiamare, e così pensa a Sascha: “Ho chiesto a mia madre se potevamo aiutarlo – racconta Sascha –. Lei non ha avuto dubbi: con una sua amica si sono messe d’accordo e hanno mandato subito i soldi in Nigeria. La sorella si è salvata, e questo ci ha uniti ancora di più. Una sera ho portato Joseph a cena a casa mia, a Montegonzi, per conoscere la mia famiglia. Quando è andato via, mia madre mi ha detto: ‘Perché non proviamo a tirarlo fuori dal centro di accoglienza?’. Così ci siamo informati: abbiamo chiesto a un avvocato e ci siamo messi d’accordo con il sindaco, e alla fine ci siamo riusciti. A novembre 2017 si è trasferito a casa nostra: io intanto stavo andando a vivere a Firenze, così Joseph si è installato in camera mia. Si vestiva coi miei vestiti, era molto divertente, ci chiamavamo ‘fratelli’”. 

A Montegonzi, un paesino di 150 persone, Joseph è stato accolto a braccia aperte: “Non tanto per merito delle persone del posto, ma per merito suo, perché è una persona strasolare – racconta Sascha –. Ormai conosce tutti, lo invitano a cena, è già inseritissimo nella zona”. Nel frattempo, ha fatto l’audizione con la Commissione per l’asilo politico: a giugno 2018 l’ha ottenuto, e pochi mesi dopo è stato assunto nel roseto Fineschi. “Lavoro in mezzo alle rose tutto il giorno: le poto, le annaffio, le pulisco – spiega Joseph –. Abbiamo molti visitatori. Mi piace molto il mio lavoro: mi permette di mantenere in Nigeria mia madre e mia sorella, che va all’università, e anche la nostra vicina con i suoi tre figli. Lei ha provato come me a venire in Europa, ma non ce l’ha fatta: mi fa piacere darle una mano”.

Oggi Joseph si guarda indietro e ancora fa fatica a credere a quello che gli è capitato: “Quando sono partito dalla Nigeria, non immaginavo che il viaggio fosse così duro – ricorda –. Ho attraversato il Niger, il deserto, sono stato rinchiuso in un centro di detenzione in Libia. E poi sono partito su una barca nel Mediterraneo: non avevo mai visto il mare. Ci ho messo otto mesi per arrivare in Italia. Conoscere Sascha e la sua famiglia è stato un cambiamento gigante nella mia vita”. Oggi Joseph abita da solo in un piccolo monolocale vicino al roseto, che gli hanno dato a un prezzo molto accessibile. “La cosa più bella è stata andare a cena da lui e cucinare insieme – conclude Sascha –. Io ho preparato l’arrosto al forno, lui ha fatto il riso al pomodoro con il pesce fritto. Abbiamo mangiato con i miei genitori e altri amici: è stato un momento molto emozionante”.

Alice Facchini da Redattoresociale.it

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