Da Veddel all’Italia: prove di una società multiculturale

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In una piccola isola sul fiume Elba, nella città di Amburgo, si può intravedere uno dei futuri possibili della Germania, e chissà, anche dell’Europa. Si tratta del quartiere di Veddel, a lungo considerato una periferia nonostante sia a sole due fermate di metro dalla stazione centrale, che si caratterizza per la forte concentrazione di popolazione immigrata: 5000 mila persone provenienti da oltre 60 paesi diversi, tra cui moltissime minoranze etniche e religiose d’Europa che qui convivono pacificamente e portano avanti una sorta di esperimento sociale con l’aiuto della società civile e un certo interesse anche da parte delle istituzioni.

Chi è stato quest’anno alla 15a Mostra Internazionale di Architettura a Venezia ne ha potuto ricevere un assaggio: una piccola “Veddel Embassy” è stata infatti allestita presso la Chiesa della Misericordia, all’interno di uno speciale progetto messo in piedi dai registi teatrali Björn Bicker, Malte Jelden e Michael Graessner, che da anni lavorano in modo interdisciplinare tra arte, politica e pratiche sociali. Per cinque giorni, con il sostegno del Goethe-Institut, una sessantina di abitanti della Veddel amburghese si sono trasferiti nella chiesa veneziana dando vita all’ “ambasciata della molteplicità” in cui hanno coinvolto i visitatori della Biennale con svariate attività che ormai da tempo fanno parte della quotidianità del quartiere: cene, concerti, spettacoli teatrali e scambi di opinioni ed esperienze, partite di calcio, incontri con i profughi locali, visite alle moschee e ai centri di buon vicinato. Un modo per dimostrare che la convivenza è possibile e che una società multietnica può funzionare, se si investe in primis sulle persone, sulla cultura e sulla diversità come risorsa.

“Un tempo da Veddel i tedeschi emigravano oltreoceano, ora è un quartiere di arrivi. Tutti i movimenti migratori degli ultimi 70 anni sono passati da qui” spiegano i curatori del progetto. Loro Veddel l’hanno scoperto nel 2012, quando furono invitati alla biblioteca di Amburgo per realizzare un progetto nello spazio urbano. Videro che al centro del quartiere esisteva una grande chiesa luterana (Immanuelkirche) che però era molto poco frequentata, dato che i cristiani lì sono una minoranza. “Il parroco ha così deciso di aprirla al quartiere, realizzando il suo sogno di farne un grande spazio culturale per tutti” racconta Malte Jelden durante l’incontro a Roma intitolato “Making Heimat, The Veddel Embassy (Amburgo) meets Torpignattara”. Un dibattito in cui proprio le due periferie, quella tedesca e quella romana di Torpignattara, sono state messe a confronto a partire da una domanda principale: “Come può riuscire la convivenza civile a partire da più culture?”

Heimat in tedesco significa infatti casa, o “quel luogo in cui ci si sente a casa”, come lo è sicuramente Veddel per molti non-tedeschi che lo abitano. A Torpignattara, quartiere anch’esso ad altissima concentrazione di immigrati, le cose non vanno proprio allo stesso modo. “Certo ci sono delle differenze sostanziali – spiega la storica Stefania Ficacci, anche lei presente all’incontro – Si tratta di un quartiere molto più vasto, che conta oltre 50 mila abitanti e si trova in un contesto urbano e nazionale completamente diverso. Più che un’isola, Torpignattara è una porta verso la città, da cui poi è stato inglobato. Ha tutti i problemi che in genere caratterizzano le periferie: marginalità, scarsi collegamenti con il centro e mancanza di servizi. Ma soprattutto, vige una totale mancanza di dialogo fra cittadinanza e amministrazione, e spesso vi si sfogano tensioni sociali, anche a livello di narrazione mediatica”.

Eppure, anche Torpignattara è riuscito a creare una sua piccola Veddel Embassy: si tratta della scuola Pisacane, che 10 anni fa era finita al centro delle polemiche perché quasi il 90% dei bambini iscritti era di origine straniera. Genitori, attivisti di destra e certa stampa la definivano come un luogo malsano, “invaso dagli immigrati”, in cui era difficile insegnare l’italiano, tanto che molti decidevano di ritirare i propri figli. “Noi nella scuola non vivevamo questa difficoltà e tensione – racconta l’insegnante Vania Borsetti – Pian piano, con molto lavoro e la collaborazione delle associazioni, abbiamo dato vita a un laboratorio dell’integrazione e della convivenza, fino a riuscire a capovolgere la situazione”. Dall’orto didattico alle feste per genitori e bambini, dai corsi di musica ai lavori di pulizia condivisi e moltissime altre iniziative, oggi la scuola è diventata un’oasi di socialità e apprendimento in cui proprio il multiculturalismo si è rivelato il punto di attrazione: gli alunni italiani sono infatti diventati il 51% e le prime classi da una sono passate a tre. “Questo nonostante a livello di infrastrutture sia decadente: significa che gli italiani che iscrivono qui i loro figli, fanno per loro una precisa scelta culturale” continua Borsetti.

Pian piano, la scuola Pisacane ha fatto da apripista, convogliando nel quartiere altre iniziative tutte orientate alla condivisione e conoscenza reciproca tra le diverse comunità che lo popolano. Un esempio è il Karawan Fest, bellissimo festival del cinema migrante dedicato alla commedia, che si è svolto proprio in questi giorni Casa della Cultura di Villa De Sanctis. C’è da dire: completamente autofinanziato. Ed ecco qui l’altra fondamentale differenza rispetto a Veddel, dove molti progetti sono sostenuti economicamente dalle istituzioni. Mentre a Torpignattara – scuola Pisacane compresa – il Municipio, il Comune e lo Stato risultano non pervenuti. Da qui, la resistenza della società civile che, con sforzi titanici, cerca di fare quello che a Veddel si sta facendo da tempo: riappropriarsi degli spazi pubblici finora preclusi in cui i cittadini possano incontrarsi e conoscersi, al di là di fedi e culture. E magari, capirsi l’un l’altro un pochino di più. Proprio com’è successo nel quartiere tedesco, dove l’investimento sulle politiche di convivenza si è rivelato anche il miglior investimento sulla sicurezza. “Con la Veddel Embassy – spiegano i curatori – abbiamo voluto rappresentare quello che la Germania di oggi è per noi: multiculturale e multireligiosa, piena di conflitti e domande irrisolte, ma felice e vogliosa di eterogeneità”.  

Anna Toro

Laureata in filosofia e giornalista professionista dal 2008, divide attualmente le sue attività giornalistiche tra Unimondo (con cui collabora dal 2012) e la redazione di Osservatorio Iraq, dove si occupa di Afghanistan, Golfo, musica e Med Generation. In passato ha lavorato per diverse testate locali nella sua Sardegna, occupandosi di cronaca, con una pausa di un anno a Londra dove ha conseguito un diploma postlaurea, sempre in giornalismo. Nel 2010 si trasferisce definitivamente a Roma, città che adora, pur col suo caos e le sue contraddizioni. Proprio dalla Capitale trae la maggior parte degli spunti per i suoi articoli su Unimondo, principalmente su tematiche sociali, ambientali e di genere. 

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